ASTE&RISCHI, NUMERI, ROCCA, CASTEL VOLTURNO

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Tutt’Italia è alle prese con i numeri degli impiegati delle Province che l’ente di appartenenza deve dichiarare in esubero e far trasmigrare verso amministrazioni dello Stato che hanno il problema opposto, soffrono cioè di carenza di personale.

Una di queste linee di trasferimento privilegiato riguarderà i tribunali, secondo quanto dettato dalla legge di stabilità, un'altra il comparto della sanità, Comuni e Regioni sembrano altrettanti naturali approdi.
Nessuno è in grado di valutare il grado di specifica professionalità che gli obbligati al trasferimento devono abbandonare, né se tutti quelli che saranno prescelti lo saranno anche con la valutazione di un grado professionalità assimilabile a quello del nuovo incarico.
Si va, sostanzialmente, alla cieca verso un impiego nella giustizia, nella sanità, nel più conosciuto ambiente di lavoro amministrativo che, per un impiegato della Provincia, sono i Comuni e la Regione. I numeri di questa migrazione sono una priorità, tutto ciò che non è quantità, grandezza misurabile, numero appariscente, viene in secondo piano. La qualità del lavoro è un regno buio, inesplorato ieri e dato per scontato oggi. Vi è un'indifferenza per la tipicità del lavoro amministrativo che non torna a merito di nessuno, soprattutto di quanti, negli anni, non hanno saputo riformare quel lavoro, toglierlo dalle secche delle mezze maniche ottocentesche, dargli quei contenuti sburocratizzati che oggi permetterebbero di conferirgli peso e valore oltre i numeri secchi degli impiegati trasmigranti.
I numeri sono anche quelli delle persone che potrebbero lasciare, per la quiescenza, il pubblico impiego. Numeri che non tengono conto dell'usura creativa che può capitare, anche in un lavoro amministrativo, a chi gira intorno ai sessant'anni. Ma se, a sessant'anni, un politico va in pensione e può fare, poniamo, il Capo dello Stato, non c'è, in ciò, una chance che riguarda la qualità e il rinnovamento neuronale, da poter dare anche ai reduci di anni e anni di fatica amministrativa?

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E, pensionamenti a parte, non bisognerebbe far cambiare lavoro, allora, anche a tutti quelli che, nei posti caldi del pubblico impiego comunale e regionale, negli anni, hanno toccato con molta, troppa, infinita cautela, per essere buoni, pratiche e faldoni, file e cartelle digitali colmi di progetti e di adempimenti che sono rimasti lì, sulla carta, occhieggianti dai languidi schermi dei pc?
È chiaro che nessuno se ne dovrà sentire inquisito in prima persona, ma, ad esempio, tutta la vicenda del degrado e del mancato utilizzo progettuale della Rocca Paolina, a Perugia, di cui oggi tanto si parla, perché non c'è stata pratica amministrativa in grado di strecciarla? Colpa della politica? Inerzia delle strutture dirigenziali del Comune? Laissez-faire degli organi periferici dello Stato? Per restare solo al settore pubblico, uno scambio o un'integrazione di professionalità - dopo averne verificato attitudini, comportamenti e virtù - non avrebbe giovato al sistema senza doverci trovare di fronte al fatto compiuto che oggi si infierisce stupidamente solo sugli impiegati delle Province, che pagano – questa è l'impressione – per tutto il cattivo lavoro espresso dal pubblico impiego mai riformato nella qualità?
Il pubblico, nel suo complesso, è colpevole per questa apatia più che per i suoi numeri. I numeri non fanno altro che inflazionare una cancrena ideativa che ha per responsabile la progettualità politica e per complici i vassalli impiegatizi acquartierati sotto le insegne sindacali, quando non proprio di casa nelle stanze delle sedi dei partiti, correnti e fazioni comprese.
In questi giorni si sta parlando molto, a Perugia, della lunga partita del rilancio del Teatro Pavone, che dovrebbe concludersi - anno non proprio felicissimo, visti i precedenti concorsi europei - nel 2019. L'operazione sembra ben concertata, ma sono sicuro che alla fine si cederà alla tentazione di avere bei progetti e ottime gestioni chiedendo all'esterno della macchina comunale di fare il più, lasciando gli impiegati e i dirigenti al loro destino di “travet”. In questo caso, però, almeno in questo caso, varrebbe la pena ricordare che quando il Comune di Perugia, nel 1865, volle risolvere la partita della progettazione del Palazzo Nuovo (oggi Palazzo della Provincia), assunse per concorso un ingegnere-capo e lo mise al lavoro. E Alessandro Arienti, oltre al Palazzo di Piazza d'Italia, progettò fra l'altro anche il Teatro Turreno!

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Ai dipendenti e ai collaboratori di un ente pubblico si può, dunque, chiedere di tutto. Il sindaco di Castel Volturno, ad esempio, ha fatto indossare a due consigliere gli abiti di altrettante lucciole per far esplodere, a livello nazionale, il senso del degrado incombente in certe strade del suo Comune, per chiedere aiuto alle istituzioni e vicinanza alla coscienza della gente. È un caso estremo, parossistico, lo specchio di un'Italia triste e abbandonata a se stessa. Ci ha fatto toccare una sponda surreale della nostra quotidianità. Però quel sindaco non si è nascosto dietro la burocrazia, ha brandito fogli e scartoffie come altrettanti strumenti di comunicazione e di denuncia. Di questo coraggio abbiamo bisogno per non trovarci a dover fare sempre la conta dei delusi e dei frustrati nella pubblica amministrazione da riformare solo per spendere meno.

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