DIS…CORSIVO. L’INDUSTRIA, IL MERCATO, LE FIERE

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Prima di tutto, dovrebbe venire l’industria. Una fabbrica ben attrezzata, imprenditori intelligenti e vogliosi di osare, un rapporto tra padroni e operai che non è la norma nel capitalismo ma, di volta in volta, produce rapporti di intensissima collaborazione e di produttiva espansione dell’ industria.

Come non ricordare fra questi esempi, rari o rarissimi, la figura di Michele Ferrero, scomparso qualche giorno fa, al cui funerale gli operai, le maestranze, la gente della comunità si è stretta come intorno a un padre, quasi fosse la personificazione di quel “gigante” che che è stato protagonista di molti Caroselli pubblicitari dei prodotti dolciari Ferrero?

Poi viene il mercato, non quello del sabato o di un altro giorno lavorativo nelle nostre piccole città di provincia. Il mercato quello duro, terribile, inflessibile, capace di annientare le migliori buone volontà degli imprenditori, quello soggetto alle intemperanze violente delle perturbazioni globali, degli sconquassi che si verificano in Estremo oriente e arrivano come onde gigantesche a sommergere la povera economia occidentale.

Da ultimo viene la fiera, vengono le fiere, queste sì molto simili, proporzione per proporzione, a quelle che il sabato mattina o in altri giorni lavorativi della settimana nelle nostre piccole città vengono tenute con grande partecipazione di acquirenti, con merci di natura più varia, con un bailamme di situazioni e di gusti che affondano in tradizioni remote di mercato delle vacche, di fiera delle vacche e si proiettano nei mercatini, nelle bancarelle tenute da ambulanti ormai di origine certo non italiana né europea.

Per tornare a Michele Ferrero e alla sua cioccolata, viene di pensare che anche l'Umbria ha imprenditori illuminati, ne ha avuti, anche nel settore dolciario, e ne ha, o ne avrebbe, tuttora. Persone che sanno creare quasi dal nulla il miracolo del prodotto, che sfidano il mercato, che qualche volta portano i loro prodotti, proporzione per proporzione, alle fiere, non quelle del sabato mattina o di altre giornate lavorative della settimana nelle nostre piccole città, ma nelle grandi metropoli dove il mercato in senso astratto diventa fiera concreta. Ma qui il cioccolato, in Umbria, finisce e comincia il cachemire.

Ci sono però, tanto per rimanere nel cioccolato, imprenditori, se così li vogliamo chiamare, che anziché riprendere la filiera dell'industria, del mercato e della fiera – come ha fatto, fino all'ultimo, Michele Ferrero - si accontentano, si limitano a prendere, a incominciare l'impresa dal suo punto finale, dalla fiera.

E allora ti organizzano, bravissimi, fiere con chilometri e chilometri di gente in attesa di entrare fra i padiglioni, di mescolarsi ai profumi degli oggetti in vendita, di acquistare, di arricchire l'imprenditore e la città che ospita la fiera.

Ma alle spalle non c'è l'industria, non c'è il mercato. Eppure, anche in Umbria, nei settori delle fiere più rinomate in Europa e nel mondo, nei settori produttivi del cioccolato, c'è stata una grandissima tradizione industriale, c'è stato un mercato mondiale, ma a distanza di anni, di tempo, esso è andato per suo conto e, forse, ci ha lasciato a piedi.

E per suo conto, invece, in Umbria, è andata - e rimane ancora - una fiera infinita che definire “delle vanità” sarebbe offendere il titolo di un grande romanzo.

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