IL RITORNO DI ENRICO LETTA

di Pierluigi Castellani

E’ un Enrico Letta diverso quello che è tornato dalla Francia per assumere, con consenso unanime (2 voti contrari e 4 astenuti su una platea di mille membri dell’assemblea nazionale non scalfiscono la larghissima adesione ottenuta dalla sua candidatura), la segreteria del PD. Per sua stessa ammissione i sette anni passati alla direzione della Scuola di Affari Internazionali dell’Università Sciences Po di Parigi  lo ” hanno cambiato profondamente, come uomo e in relazione agli altri….mi hanno regalato una prospettiva diversa, più piena e ricca di sfumature, nel leggere me stesso e i rapporti tra le persone, le priorità della nostra comunità nazionale, gli accadimenti della politica “. Così confessa nel suo libro “Ho imparato”, pubblicato da Il Mulino nel 2919, fino a chiedersi ironicamente “Non è che mi toccherà ringraziare Matteo Renzi? ” Quindi è un Enrico Letta diverso, certamente più agguerrito e maturo quello che è stato eletto alla segreteria del PD, uno che afferma che non ci sia bisogno di un nuovo segretario ma di un nuovo PD e che sprona i democratici ad essere “progressisti nei valori, riformisti nel metodo ( e ad assumere) la radicalità nei comportamenti”.  Certo il compito che ha di fronte non è facile. Le dimissioni di Nicola Zingaretti hanno evidenziato tutte le difficoltà in cui si trova il PD, che, pur avendo perso le elezioni, si trova ad essere  costretto a stare nel governo per riportare l’Italia in Europa e per consentire al paese di uscir fuori dalla crisi dovuta alla pandemia, che dopo un anno non è ancor domata. Sa bene Letta che il partito non può rimanere schiacciato sul potere, che deve aprirsi alle persone, accettare la sfida del cambiamento, capire dove soffia il vento del cambiamento che attraversa la società di oggi. Quel vento che già nel suo ultimo libro gli ha fatto dire: ” Quando soffia il vento del cambiamento c’è chi alza muri e chi, guardando avanti, costruisce mulini a vento”.  Il nuovo Letta è tutto qui, non più quindi la giovane promessa della politica degli anni novanta, ministro poco più che trentenne, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Romano Prodi. Non è più il giovane europeista cresciuta alla scuola di Nino Andreatta e lo studioso di scenari economici e politici alla guida dell’Arel, è un uomo maturo che sa rivestire i panni del leader, quel leader, attento e scrupoloso ma determinato, di cui oggi ha bisogno il PD. Un PD giunto senza (forse) vera convinzione all’alleanza con i 5Stelle e poi al governo di Mario Draghi. Un PD accusato, per la sua responsabile presenza  nel governo giallo-rosso, di subalternità al movimento di Grillo, in difficoltà negli ultimi sondaggi ed alla ricerca di una identità, che lo caratterizzi fortemente come forza riformista, indispensabile in questa difficile fase in cui si trova il paese. Riuscirà Enrico Letta in questa impresa? Ce lo auguriamo sinceramente.