PERCHE’ NO ALLA ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DI GOVERNO

di Pierluigi Castellani

Le consultazioni sulla riforma costituzionale avviate dalla Presidente Meloni hanno registrato, per ora, le distanze che separano il Governo e le opposizioni sia pure con qualche distinguo da parte dell’ex Terzo Polo. Quello che sembra emergere è , con qualche riserva della Lega, la propensione da parte della maggioranza a proporre l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ipotesi che trova la disponibilità di Renzi e Calenda con la decisa opposizione del PD e dei 5Stelle. Oltre la considerazione, che la maggioranza non sembra avere proprio le idee tanto chiare visto che propone indifferentemente sia l’elezione diretta del Capo dello Stato che quella del Capo del Governo, c’è da osservare che quest’ultima opzione, che viene  sbrigativamente ed inopportunamente definita del Sindaco d’Italia, comporterebbe la riscrittura completa delle parti della Costituzione, che regolano la forma di governo e tutte le istituzioni di garanzia.  Con il cosiddetto Sindaco d’Italia infatti la nostra democrazia muterebbe sostanzialmente volto. Da una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare si passerebbe ad una democrazia diretta in cui il ruolo del Parlamento diverrebbe ancillare. Scollegare la fiducia al Capo del Governo dalla naturale sede del Parlamento per legittimare la funzione del premier con il solo voto degli elettori renderebbe il Parlamento continuo ostaggio del Presidente del Consiglio, come ora avviene con il sindaco ed il suo consiglio comunale. A parte l’abissale differenza , che esiste tra il parlamento ed  il consiglio comunale, l’uno fonte principale della legge , del diritto, e dell’indirizzo di governo, l’altro sede soltanto dell’amministrazione di una comunità, appendere la vita del Parlamento a quella del capo dell’esecutivo significa svuotare di significato e di indipendenza l’ istituzione, che in tutte le democrazie è la sede delle libertà e della rappresentanza di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro collocazione politica. E’ evidente che questo passaggio da una democrazia parlamentare ad una democrazia diretta imporrebbe la riscrittura completa di tutto il resto, cioè la revisione di tutte le istituzioni che garantiscono quei pesi e contrappesi, che fanno da scudo a quella che viene chiamata la tirannide della maggioranza. Infatti  in questo caso quale sarebbe il ruolo del Capo dello Stato, quello di semplice cerimoniere e non certo quello di garanzia per tutti come è ora. Ed ancora quale sarebbe il ruolo del Presidente della Repubblica nella formazione del governo se il premier è già legittimato dal voto popolare e come potrebbe sciogliere il Parlamento se le due Camere vengono elette in collegamento con il Capo del Governo. La verità è, e questo sfugge incomprensibilmente a Renzi e Calenda, tifosi come si sono dimostrati del Sindaco d’Italia, che il Parlamento in questa evenienza non sarebbe più la sede delle libertà, cosa che contraddistingue una vera democrazia dall’autoritarismo e dalla dittatura. Del resto vorrà pur dire qualcosa se l’elezione diretta del premier non esiste in nessun paese che si conosca e laddove fu introdotta, come in Israele, dopo quattro anni è stata  repentinamente cancellata. La riconosciuta esigenza di dare agli esecutivi maggiore stabilità si risolve, come è stato già più volte proposto, con il cancellierato alla tedesca dando più poteri al Presidente del Consiglio nella nomina e nella sostituzione dei ministri e con la sfiducia costruttiva, che imporrebbe al Parlamento l’indicazione di un nuovo esecutivo qualora  decida di sfiduciare quello in carica. Questa proposta, alternativa a quella della Meloni, è l’unica percorribile se si vuole mantenere quell’assetto istituzionale , che dal 1948 ha garantito 75 anni anni di libertà e di pace al nostro paese. Ed è anche una proposta condivisibile e ragionevole. Ci auguriamo che  il populismo e l’antipolitica in cui ancora siamo immersi non abbia annebbiato con il sonno della ragione le menti di chi ci rappresenta.