Le primarie del Pd e il voto francese

di Pierluigi Castellani

Tra le primarie del PD del 30 aprile ed il voto francese del primo turno apparentemente sembrerebbe che non ci sia alcuna connessione. Ma proprio l’attenta analisi del voto del 23 aprile delle presidenziali francese può fornire utili indicazioni sul cammino futuro dell’Europa e sul rapporto tra il voto popolare ed i vecchi e tradizionali partiti. Emmanuel Macron è un leader senza partito e pur tuttavia ha saputo interpretare l’esigenza di molta parte del popolo francese per una politica concreta, postideologica, non ripiegata sul passato bensì volta al futuro e che con coraggio intenda affrontare le sfide imposte dalla globalizzazione . E tutto questo senza prendere le distanze dall’Europa anzi opponendo al populismo dell’estrema destra e dell’estrema sinistra del tutto euroscettico un europeismo sempre più convinto anche se ricco di voglia di cambiamento.

Questo ha consentito a Macron di prevalere, anche se di poco, su Marine Le Pen e di accreditarsi come colui che può seriamente battere una destra estrema, che offre come unica ricetta un rispolverato ed esasperato nazionalismo ( sovranismo direbbero i nostri Salvini e Meloni). Ed i partiti tradizionali ? I repubblicani e il partito socialista francesi non solo sono fuori dal ballottaggio ma sono invischiati in una crisi profonda, che fa temere per la loro implosione. Fillon, candidato del centrodestra ha subito l’assalto della Le Pen più credibile agli occhi dell’elettorato quando parla di sicurezza e chiusura delle frontiere, mentre Hamon, il candidato dei socialisti, non raggiungendo neppure il 7%, ha pagato l’errore di pensare che la crisi del socialismo francese potesse essere superata da un suo spostamento a sinistra quando alla sua sinistra il candidato della sinistra radicale Mélenchon parlava di giustizia sociale infiocchettando i suoi comizi con aperture alla Cuba di Castro ed al Venezuela di Chavez ed annunciando nazionalizzazioni.

Questo sta a dimostrare che quando si rincorrono gli elettori imboniti da parole d’ordine e dal populismo, sia di destra che di sinistra, poi trovano che su quei versanti c’è chi è più credibile, perché quelle posizioni le ha sempre sostenute. Per questo Emmanuel Macron, che si dichiara progressista ed europeista, è alla fine risultato il candidato più affidabile per tenere la Francia lontana da avventure disastrose. E qui sta la connessione con le primarie del PD, perché anche nel PD c’è chi spera di recuperare a sinistra rievocando, con nostalgia, un socialismo del passato ed una forma partito legata agli schemi vecchi di una forza che si impone ed è egemone nei confronti di chi è impegnato nel governo delle istituzioni. L’esperienza del passato ci dice che un partito siffatto diventa fine anziché strumento per il governo di una comunità. Il pericolo sta proprio qui, che riproponendo una forma partito di questo tipo il partito diventi una chiesa chiusa, lontana dalla società e dai veri problemi dei cittadini. Invece ci deve essere un’ osmosi profonda tra partiti e società, che faccia continuamente prevalere il vero fine della politica che è quello di governare per il raggiungimento del bene comune. Contro questi partiti già si scagliò polemicamente Simone Weil nei primi anni quaranta e poi nel 1991 Pietro Scoppola con il suo “La repubblica dei partiti”.

Per questo le primarie del PD, aperte agli elettori oltre che agli iscritti, vogliono offrire un terreno di confronto che non sia limitato solo ai soliti addetti ai lavori ma aperto alla società civile, chiamata a fare delle scelte insieme e non contro i partiti. Da qui un’altra connessione con il voto francese. Quando nel voto del 23 aprile si vede prevalere un candidato, come Macron, non collegato direttamente ad una forza politica ma capace di ergersi come unico vero argine nei confronti del populismo di Le Pen e di tutti i populismi di stampo antieuropeo, significa che in Italia non ci si può ridurre all’interno del cerchio ristretto di un partito per offrire una prospettiva seria di governo ad un paese, come il nostro, frammentato e disorientato dopo una lunga crisi economica e dopo aver vissuto la difficoltà di portare avanti un coerente disegno riformatore con l’insuccesso del referendum del 4 dicembre u.s.. Non si tratta di tradurre in italiano il motto “en marche” di Macron, ma di essere consapevoli che nessuna proposta politica schiacciata sul passato può essere vincente oggi in Italia. Ed occorre anche per il popolo della sinistra, spesso incerto e disorientato, fare finalmente delle scelte coraggiose e non già come chi in Francia scende ora in piazza al grido “ né con la Le Pen né con Macron”, che a noi italiani rievoca tristemente vecchie,ipocrite e pavide equidistanze. Credo che l’Italia e Matteo Renzi meritino una seconda chance e questa può essere offerta andando ai gazebo del PD il 30 aprile prossimo

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