Traffico illecito di rifiuti, c’è anche il franchising. Rifiuti illeciti smaltiti da una vera e propria organizzazione criminale

La nuova corrente del “franchising criminale ambientale” e i nuovi pericoli per la salute pubblica. Umbria Domani in un’intervista esclusiva al Dott. Maurizio Santoloci, magistrato e docente di diritto ambientale presso diverse scuole di polizia dello Stato, parla dell’evoluzione dei nuovi crimini ambientali, con a capo la così detta “borghesia criminale ambientale” che opera in questo settore.

 Cos’è il “franchising criminale ambientale”? L’evoluzione della fisionomia dei crimini ambientali (ormai strettamente connessi con i crimini a danno della salute pubblica) nel nostro Paese sta assumendo aspetti particolari ed imprevedibili, e tale evoluzione non appare recepita fino in fondo in molti settori istituzionali.

Nelle scuole di polizia – invece – oggi il quadro è chiaro e si stanno raffinando strategie operative di contrasto aggiornate ai tempi.

Tutto trae origine storica da una evoluzione maturata nell’arco di tre decenni dove si inizia con una una base di illegalità diffusa di tipo “ordinario” per condivisione sociale, nel senso che si tratta inizialmente di comportamenti illegali posti in essere in modo puntiforme ed autonomo da privati cittadini e da titolari di aziende in un regime comportamentale fisiologico avverso ad ogni regola giuridica. Questo tipo di illegalità diventa poi – però – nel tempo diffusa e spesso collettiva, specialmente in alcuni campi (in primo luogo quello urbanistico-edilizio e quello della gestione illecita dei rifiuti). Così le violazioni ambientali sistematiche, e sempre più progressivamente unite da un comune denominatore. Emergono poi progressivamente nuove forme delinquenziali –  associate tra più persone, ma non ancora connesse a forme di malavita organizzata – che trasformano le originarie e modeste violazione ambientali puntiformi in veri e propri crimini ambientali di vastissima portata, unite da fisiologie comuni e condivise (anche a livello culturale) e dalle conseguenze devastanti per il territorio e la salute pubblica.  Si tratta di un fenomeno ancorato a livello sociale a fasce di illegalità maturate non da soggetti malavitosi in linea generale, ma da persone operanti in vari segmenti sociali ed economici le quali, appunto, si associano tra di loro con il fine specifico di raggiunge un obiettivo di lucro derivante dalla sistematica violazione delle leggi ambientali.

Non si tratta ancora di organizzazioni criminali come oggi la nostra cultura moderna ci ha evidenziato, ma di sodalizi associativi di fatto limitati o diffusi che si contraddistinguono per una presenza di elevata illegalità permanente e con danni ambientali e per la salute pubblica spesso incalcolabili.

Il confine con i settori malavitosi iniziano ad essere labili e fragili, ed il tessuto costitutivo di tali sodalizi è troppo giovane e fragile per poter essere impermeabile alle future e già incombenti infiltrazioni della criminalità organizzata “militare”. La quale poi arriva puntuale ed inevitabile, e si innesta su questo substrato di cultura dell’illegalità elevata a sistema dove principi furbi e maliziosi, interpretazioni malevoli delle norme, sotterfugi cavillosi e prese di posizioni culturali in palese antitesi con le discipline regolamentative costituiscono il terreno fertile per la successiva “ecomafia” che chiude il cerchio. E si impossessa dei maggiori e più fruttuosi traffici di rifiuti e di ogni altra illegalità a danno del territorio e della salute pubblica  (ma anche a danno degli animali).

È sufficiente leggere le cronache diffuse e frequenti per percepire che oggi non esiste solo la c.d. “ecomafia” intesa come (inevitabile) infiltrazione della criminalità organizzata nel malaffare dell’ambiente, ma esiste parallela e non meno perniciosa “borghesia criminale ambientale” che opera in questo sciagurato settore.  Ed è la più pericolosa. Perché è composta da persone insospettabili, colte, accreditate in molti ambienti che contano ma – soprattutto – che si trovano dentro i sistemi di vario tipo e – direttamente o indirettamente – possono condizionare culture, prese di posizione, principi, scelte di ampio respiro. E non sappiamo realmente quali e quanti sono i livelli di questo fenomeno. Le cronache ci sorprendono in modo progressivo.

E siamo poi ai nostri giorni allo sviluppo finale di questa evoluzione storica: il “franchising criminale ambientale”, frutto diretto dell’operato della nuova “borghesia criminale” sopra citata, che dispone di un preziosissimo “avviamento aziendale”, diviso in settori ed aree specifiche, con conseguenti elaborazione di modelli comportamentali orizzontali che poi, proiettati dalla “casa madre” trasversale in modo verticale sulle singole e diversificate realtà operative locali, ha creato una rete di singole cellule operative illegali che agiscono mutuando – ciascuna per il proprio business – i criteri del meccanismo generale.

Questa vera e propria “affiliazione commerciale” di tipo criminale ambientale, è una formula di collaborazione tra imprenditoria delittuosa nel settore con forme di contiguità locale (a diversi livelli) e bassa manovalanza pratico/operativa  per la produzione o distribuzione di veri e propri  servizi seriali illegali ove le singole realtà locali non vogliono partire da zero, e preferiscono affiliare la propria “impresa” ad un meccanismo logistico, culturale e comportamentale già avviato ed affermato. Vi è dunque un interscambio di collaborazione che vede da una parte una realtà criminale nazionale con una formula operativa consolidata e dall’altra una realtà delinquenziale locale che aderisce a questa formula.

L’ “azienda madre” oggi è addirittura non solo nazionale, ma può essere globale (si pensi ai traffici di rifiuti transnazionali, ove ci sono interessenze fino all’estremo oriente con modelli organizzativi che solcano interi continenti ed affiliazioni extraterritoriali) ed offre – fino al  piccolo imprenditore che ha deciso di avviare un’attività delittuosa  in proprio –  il prezioso know how di conoscenze e abilità operative che gli consente di lanciarsi con profitto in un mondo altrimenti scarsamente fruibile.

Il “franchising criminale ambientale” è un sistema perfetto che è in grado di funzionare in tutto il Paese ed oltre i confini fino all’estremo oriente, una criminalità nuova, un sistema che lucra soldi, relazioni e clientele appoggiandosi sulla parte non solo più apparentemente buona ed insospettabile della società civile in grado di creare un impatto positivo sul mondo circostante (“borghesia criminale ambientale”), ma contemporaneamente – e paradossalmente – anche sulla parte più bieca, e cioè quella della cosiddetta “ecomafia” in senso stretto. Riuscendo a trarre da questi diversi settori utilità e sinergie, e creando paradossalmente cinghia di trasmissione con vantaggi reciproci.

Chi sono gli autori di questo crimine e dove vanno a colpire? Gli autori di questa nuova forma criminale sono da ricercarsi tra i soggetti attivi della “imprenditoria criminale ambientale”. In realtà questo fenomeno trova radici antiche perché, come abbiamo in precedenza accennato, la realtà oggettiva ed incontestabile è che le infinte discariche abusive scoperte sottoterra nei periodi moderni sono state realizzate nei decenni pregressi ad opera di imprenditori senza scrupoli che hanno utilizzato il territorio come una gigantesca pattumiera ore seppellire ogni tipo di rifiuto (anche tossico che è pericoloso). È, appunto, dato oggettivo che la quasi totalità di queste discariche abusive (piccole, medie e grandi) sono infestate di rifiuti aziendali; consegue in via logica che soltanto i titolari delle aziende che hanno prodotto tali rifiuti potevano disporre tali sotterramenti abusivi in luogo dei regolari sistemi di smaltimento e recupero. È veramente illogico ipotizzare che masse immense di rifiuti aziendali per interi decenni siano stati sepolti sotto terra, dentro le aree aziendali o all’esterno, all’insaputa degli imprenditori che le producevano. Ed è altrettanto illogico pensare che intere flotte di trasportatori e smaltitori illegali hanno ritirato a loro volta masse di rifiuti aziendali dall’interno delle aziende per andarli a seppellire a distanza di decine o centinaia di chilometri all’insaputa dell’imprenditore che li aveva prodotti.

La verità oggettiva è che un numero elevatissimo di imprenditori in questi decenni pregressi ha, in prima persona o delegando il trasporto a terzi,  disposto lo smaltimento illegale dei propri rifiuti aziendali (anche pericolosi) per risparmiare sui costi di smaltimento o recupero. E questo smaltimento illegale, da ciascun imprenditore disposto, è stato effettuato a titolo totalmente doloso e nella piena consapevolezza del fine illegale di viaggi e dei micidiali sotterramenti conseguenti.

Questa cristallizzata situazione storica ha portato ad una vera e propria base di cultura dell’illegalità per la nascita della nuova “imprenditoria criminale ambientale” attuale.

Che danni provocano all’ambiente e alla società? Prendiamo il caso da manuale della cosiddetta “Terra dei fuochi”. È una verità solare che tutti i rifiuti seppelliti o bruciati in quel territorio sono – appunto – di origine aziendale. Il che denota in modo chiaro la realtà in base alla quale un numero elevatissimo di imprenditori da tutto il territorio nazionale, ma anche dall’estero, per anni hanno inviato tramite trasportatori illegali i propri rifiuti aziendali verso quelle terre con il doloso fine di consentirne lo smaltimento fuori da ogni regola di legge. E questo per risparmiare sui costi di smaltimento regolare. In quale altro modo, e con quali altre dinamiche, potrebbero queste gigantesche masse di rifiuti aziendali, prodotte da imprenditori, essere finire nella c.d. “Terra dei fuochi” all’insaputa dell’imprenditore che li ha prodotti?

In realtà in tutte queste forme di smaltimenti illegali l’unica, vera e conclamata origine criminale è  l’imprenditore che sceglie dolosamente e coscientemente di consegnare i propri rifiuti aziendali ad un soggetto illegale per lo smaltimento conseguentemente ed altrettanto illegale, anziché seguire le regole ordinarie e di legge per lo smaltimento o il recupero.

Altro dato oggettivo è che se ciascun imprenditore seguisse le regole legali per smaltire o recuperare i propri rifiuti, non ci sarebbe un mercato per gli smaltimenti illegali ed i sotterramenti o bruciature sempre illegali dei rifiuti stessi. Esiste una criminalità operativa che favorisce gli smaltimenti illegali perché c’è una domanda da parte di una fetta di imprenditoria che preferisce scegliere queste strade illegali per risparmiare sui costi, anziché rivolgersi agli smaltitori o recuperatori legali che operano sul territorio rispettando le regole di legge. E questo solo per risparmiare sui costi – ordinari – delle operazioni di smaltimento o recupero che sono connaturali alle attività regolari.

C’è il rischio che questa tipo di “criminalità ambientale associata” si diffonda e si potenzi? Se sì, perchè? Assolutamente si! Noi non possiamo continuare a considerare come criminali ambientali soltanto i trasportatori illegali e gli smaltitori illegali che operano materialmente tali attività sul territorio, perché chi conferisce a loro i rifiuti, e cioè l’imprenditore/produttore iniziale, è il primo anello della catena ed è il soggetto criminale principale ed originario dal quale si origina poi tutta la successiva filiera illegale. Quando continuiamo a vedere rifiuti aziendali che vengono smaltiti illegalmente in tanti modi, ed in particolare mediante sotterramenti e bruciature fuorilegge, non dobbiamo pensare che la responsabilità è da addebitare unicamente agli autori materiali  di questi sotterramenti e bruciature, ma c’è all’origine a livello perfettamente consapevole e dolosamente responsabile la realtà di un imprenditore che ha conferito in piena scienza e coscienza i propri rifiuti a tali soggetti con il fine unico e palese di attivare lo smaltimento illegale.

Dunque, la filiera dello smaltimento illegale dei rifiuti aziendali ha come capofila ogni volta – in modo inevitabile ed incontestabile – un imprenditore “criminale ambientale”. Ad esempio, quando nei porti arrivano i container diretti verso l’estremo Oriente con carichi di rifiuti palesemente illegali di origine aziendale, non ci si deve limitare esclusivamente a contestare i reati conseguenti alle ultime ruote della filiera (e cioè ai trasportatori, ai commercianti ed agli spedizionieri), ma l’origine della stessa filiera va ricercata negli imprenditori iniziali che hanno conferito i rifiuti a tali soggetti terzi operativi. Inutile sequestrare il container con la responsabilità unica addebita alle ultime ruote  della catena operativa, perché se non si vanno a ricercare le fonti che sono all’origine della filiera domani arriveranno altri container da quella stessa fonte.

Lo stesso vale per qualsiasi trasporto o smaltimento illegale di rifiuti, diretto anche verso aree ubicate  sul territorio nazionale. Quando si intercetta un camion che trasporta rifiuti in modo illegale, la responsabilità non deve essere più solo individuata in capo al trasportatore singolo (autista) o alla ditta di trasporto in senso generale, ma è necessario risalire anche in questi casi subito alla fonte, e cioè  al produttore che ha conferito i propri rifiuti in piena e dolosa consapevolezza al trasportatore che, a sua volta, ha svolto un’attività illegale.

Anche per gli illeciti inerenti il formulario, non è assolutamente vero che tali fattispecie sono da riferirsi esclusivamente al trasportatore come molti ritengono. Va sottolineato in tal senso che la  parte iniziale del formulario devi compilarla, per sua stretta e logica competenza, il produttore/detentore che conferisce i rifiuti. Peraltro è il soggetto che ha prodotto il rifiuto che ha l’onere di classificare tale rifiuto, il legislatore ha ritenuto ragionevolmente che sia lui a conoscere più di altri il processo, le trasformazioni e le materie prime che danno origine al proprio rifiuto e che, dunque, può indicare di quale rifiuto si tratta, quale è il codice CER da assegnare a suo unica e diretta (e non delegabile) responsabilità ed onere, ed ogni altra informazione su peso, origine e qualità del rifiuto stesso. Questi dati non può certo conoscerli l autista della ditta di trasporto che effettua il ritiro del carico.

L’imprinting di  tutta la filiera successiva al percorso dei rifiuti lo imposta –  pertanto – inizialmente l’imprenditore originario e tutto il percorso successivo risente di questa impronta iniziale. Se il produttore iniziale decide di avviare i propri rifiuti verso un percorso legale, i rifiuti seguiranno quel percorso legale. Se, al contrario il soggetto iniziale decide dolosamente di avviare i propri rifiuti verso un percorso illegale, i rifiuti seguiranno quel percorso illegale. Dunque, è questa precisa volontà originaria che impartisce ai rifiuti il proprio destino legale o illegale. Ed il trasportatore abusivo e lo smaltitore illegale faranno la loro comparsa solo se vengono chiamati in causa dal produttore iniziale. Al contrario, se quest’ultimo si rivolge ad un trasportatore regolare e ad uno smaltitore o recuperatore legale, il circuito si avvia verso una fase di rispetto delle regole.

In questo senso, a nostro avviso, è perfettamente corretto parlare di “imprenditore criminale ambientale” con riferimento a quell’imprenditore che – dolosamente ed in modo perfettamente cosciente – destina i rifiuti da lui prodotti verso un circuito illegale, ben sapendo la fine che faranno; e questo semplicemente ed unicamente per risparmiare sui costi di smaltimento e recupero regolare.

Vi è, dunque, un concorso doloso tra produttore iniziale, trasportatore e smaltitore finale nei casi di illegalità in materia di gestione dei rifiuti; scatta in tal senso una filiera criminale entro la quale nessuno può dirsi in buona fede, attese le dinamiche che sono alla base di tali smaltimenti illegali, se non altro a livello documentale e formale.

Come si può contrastare a livello legale il “franchising criminale ambientale”? Correttamente e giustamente la recente normativa ha ampliato la responsabilità in materia ambientale anche all’azienda in se stessa, con il pagamento di quote in via amministrativa nel caso in cui gli illeciti ambientali penali operati dall’imprenditore o suo delegato abbiano comunque prodotto un vantaggio per l’azienda. Con tale estensione di responsabilità per aziende ed enti si vuole colpire proprio la fonte e l’origine della filiera illegale, e questo conferma che la stessa normativa  implicitamente riconosce l’esistenza di una “imprenditoria criminale ambientale” che deve essere colpita nel suo centro con la dovuta e logica proporzione sanzionatoria attraverso una dosimetria equilibrata verso gli illeciti commessi nel settore in esame. Nei casi più rilevanti tale normativa arriva fino alla chiusura dell’azienda quando l’attività è puramente e semplicemente criminale in senso stretto; mentre negli altri casi vengono equilibrate le sanzione in base alla responsabilità dolosa o colposa dell’imprenditore, il quale – comunque –  vede oggi riconosciuta una conseguenza anche sui propfotti per l’azienda derivanti dalla sua attività illegale. Dunque, la legge oggi implicitamente riconosce che esiste potenzialmente una forma di illegalità aziendale sistematica della quale possono originarsi responsabilità economiche anche per l’azienda stessa in via amministrativa.

Va poi considerato che questo grave stato di cose genera anche una concorrenza sleale verso le aziende sane, ed un’alterazione delle leggi di mercato. Non vi  è dubbio che le aziende che operano regolarmente rispettando le leggi soffrono in modo forte rispetto alla concorrenza sfacciata che le infliggono le aziende che ricorrono a strade illegali, le quali – risparmiando sui costi di smaltimento e recupero – possono immettere sul mercato prodotti finali ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto alle aziende sane. Questo alimenta la cultura delle illegalità trasversali e scoraggia le aziende oneste, le quali molto spesso soccombono anche a livello di garanzia occupazionale in questa situazione e comunque dimostrano disagio e sofferenza spesso irrimediabile a livello gestionale ed economico.

Dunque, l’unica forma di contrasto per questo nuovo fenomeno criminale è un’azione di prevenzione e repressione sistematica all’origine della produzione dei rifiuti destinati fin dal primo momento a destinazioni illecite nazionali  transfrontaliere.

 

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