IL PD A CONGRESSO

di Pierluigi Castellani

Sono due le forze politiche uscite dalle elezioni del 25 settembre ridimensionate nelle loro ambizioni, ma mentre la Lega sembra ancora compatta intorno alla leadership di Matteo Salvini e silenzia, per quanto possibile, il dibattito interno ,il PD viene chiamato a congresso dal segretario Enrico Letta, che ha dichiarato di volersi fare da parte. Letta, avendo puntato tutta la sua campagna elettorale nel duello con Giorgia Meloni nella speranza di fare del PD il primo partito del paese, ha dovuto constatare di aver fallito il suo obbiettivo   dovendo registrare che pezzi dell’elettorato di sinistra hanno contribuito alla risalita, rispetto ai sondaggi, dei 5Stelle a guida Giuseppe Conte. Ora il partito, chiamato a congresso,  ribolle al proprio interno con le correnti  che cercano di posizionarsi in vista delle candidature alla segreteria mentre è iniziato un dibattito sul futuro del PD, sul suo profilo, sui programmi con cui presentarsi al paese, alla ricerca di una identità ora messa in discussione fino al punto di chiederne anche lo scioglimento per dare vita ad una cosa del tutto nuova. Ed è singolare che in questo dibattito si inseriscono anche coloro che sono fuori del partito, come Roberto Speranza, ed indipendenti come la Schlein, che qualcuno vorrebbe segretaria per fare una “cosa rossa”. Alla “cosa  rossa” sembrano guardare con attenzione la sinistra del PD sperando di riprendere in questo modo il voto del mondo operaio, del ceto medio ora impoverito. Però parte di quel voto è andato al partito di Giuseppe Conte e addirittura alla destra di Lega e FDI e non sarà facile riconquistarlo. E’ certo che il PD deve uscire dal recinto delle ZTL e riconquistare le periferie. Ma si è sicuri che basti spostarsi a sinistra per riprendere quei voti di elettori delusi, alle prese con il caro bollette ed impoveriti dalla ripresa dell’inflazione, che rende più costoso il carrello della spesa? Una seria riflessione dovrà comunque essere fatta all’interno del PD ed il congresso dovrebbe servire proprio a questo, e non ad una mera conta interna sui nomi dei candidati per ritagliarsi spazi di potere e garantire pezzi di ceto politico. Ma per ridare  forza e credibile profilo forse la strada migliore è quella di ripartire dalle origini, dal PD immaginato da Prodi e Veltroni, un partito plurale, arricchito da diverse tradizioni e culture politiche, con l’ambizione di rappresentare non pezzi isolati di società, ma un partito inclusivo, che non a caso fu immaginato come una forza di centrosinistra e non solo di sinistra. La cifra oggi necessaria è quella del riformismo, solo capace di cambiare e rinnovare la società. Nessun massimalismo può risolvere i problemi che oggi il paese deve affrontare con una guerra alle porte dell’Europa, che di giorno in giorno rischia un’irrefrenabile escalation ed alle prese con l’aumento delle diseguaglianze, dovute ad una globalizzazione senza controllo. Ed inoltre una forza politica degna di questo nome deve tener conto del quadro internazionale in cui l’Italia si trova. Non è tempo di sovranismi o di isolazionismo nazionalistico. Un paese come il nostro con un gravoso debito pubblico da solo non va da nessuna parte e quindi deve essere al centro del nuovo scenario geopolitico, che si sta disegnando. C’è comunque da registrare positivamente il fatto che il confronto sul futuro del PD sta coinvolgendo molti attori dell’arena politica italiana. Forse è il segno che dopo tutto il nostro paese ha bisogno di un partito come il PD, che può vantare una solida cultura di governo, che  altre forze politiche debbono ancora dimostrare di avere mettendosi alla prova.