DOPO IL 12 GIUGNO

di Pierluigi Castellani

Archiviati i referendum con l’affossamento dei cinque quesiti sulla giustizia per il prevedibile non raggiungimento del quorum necessario per la loro validità torna la politica con il quotidiano confronto tra i partiti e con nuove tensioni  tra le forze che sostengono il governo. Sì, perché il mancato quorum ai referendum, con anche una massiccia astensione dal voto da parte dei cittadini, mai prima verificatasi, e l’esito della tornata di elezioni di amministrative, che ,se pur limitata a mille comuni, fa registrare un diverso equilibrio delle forze in campo rispetto all’attuale composizione del parlamento, pone problematiche ai difficili equilibri su cui vive il governo Draghi. Le questioni più evidenti riguardano nel campo del centrodestra il superamento nei consensi di FDI rispetto alla Lega, mettendo quindi in discussione la leadership di Matteo Salvini,  e nel campo del centrosinistra il crollo dei 5Stelle che mette in discussione la leadership di Giuseppe Conte ed il campo largo di Enrico Letta, almeno nella sua versione giallo – rossa. Tutto questo non è da poco se si pensa che l’apparente saldezza dello schieramento di centrodestra è in continua  fibrillazione per la permanente gara per la leadership tra la  Merloni e Salvini e nel PD si sono cominciate ad agitare le acque, perché nonostante la buona prestazione del partito, viene messo in discussione l’asse tra Letta e Conte per l’evidente indebolimento dello stesso Conte. Questo avviene nel momento in cui il governo Draghi sta affrontando il difficile tratto di strada ,che dovrebbe portarlo alla fine della legislatura nel 2023, con alcune riforme ancora da varare come quelle della giustizia, della concorrenza e del fisco. Ora soprattutto le forze politiche penalizzate da questa ultima consultazione tenteranno di accentuare la loro presenza nel governo nel tentativo di recuperare consensi, anche nell’incertezza del loro destino soprattutto per i 5Stelle. E nel PD c’è la questione del campo largo lanciata da Letta, che non può più incentrarsi sull’asse con Conte, il quale leader, ancora in discussione, può essere tentato da qualche strappo nel vano tentativo di ridare forza al vecchio populismo, antica anima originaria del movimento di Beppe Grillo. Infine le forze politiche hanno di fronte soprattutto la questione della democrazia italiana. E’ pur vero che l’alto astensionismo si registra in varie parti del mondo, ma in Italia è lo strumento dei referendum che è in difficoltà insieme al rapporto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Lo strumento referendario non è stato previsto nella nostra Costituzione in antitesi alla rappresentatività del parlamento, bensì come ulteriore arricchimento e legittimazione di quella rappresentatività. Il dare la parola al popolo non può essere uno strumento di lotta politica, ma un’ ulteriore legittimazione di scelte che necessitano di essere avvalorate dal popolo. I quesiti referendari del resto debbono essere chiari, facilmente percepibili dall’opinione pubblica e non possono essere usati in mera contrapposizione alla difficile mediazione parlamentare. La democrazia la si deve difendere anche dal pericoloso scivolamento nel viscido terreno del populismo. E’ il populismo che viene messo in discussione insieme alla qualità della democrazia. Lo strumento referendario  non  deve essere in contrapposizione con l’attività del parlamento ma come sua eventuale convalidazione. Quando i referendum risultano in mero contrasto con l’attività del parlamento, che si stava già occupando dei temi della giustizia, mettono in discussione la stessa democrazia diretta, che deve invece vivere insieme alla democrazia rappresentativa per completarla ed arricchirla. Forse è la stagione del populismo che sta vivendo nel nostro paese la sua fase declinante che non può però trascinare nel proprio declino anche la nostra democrazia e la vita del governo Draghi quando tutta l’Europa è alle prese con la crisi dovuta all’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina. Ci auguriamo , che curate le ferite di chi si sente ammaccato dal voto del 12 giugno e messo a freno l’euforia di chi invece si ritiene premiato,   si riprenda con più convinzione a lavorare per far tornare la pace e portare il paese  fuori dalla crisi che sta vivendo dall’esplosione della pandemia e che si è aggravata con la guerra scoppiata nel cuore del nostro continente.