Cortese e il caso Shalabayeva, oggi si aprirà il processo d’appello a Perugia al super poliziotto che arrestò Provenzano e Brusca. Per il governo “fu un’espulsione regolare” ma il Tribunale lo ha condannato

Oggi – lunedì 17 gennaio – si aprirà a Perugia il processo d’appello all’ex capo dello Sco, poi divenuto Questore di Palermo, Renato Cortese e all’ex responsabile dell’Ufficio immigrazione , poi Questore di Rimini, Maurizio Improta. I due alti e stimati poliziotti sono stati condannati, più di un anno fa, dal Tribunale di Perugia a cinque anni di reclusione, accusati e considerati colpevoli per il caso Shalabayeva definito dai giudici perugini addirittura “rapimento di Stato”.  Una sentenza, quella del Tribunale di Perugia, che riservò condanne a sei poliziotti e una giudice di pace per l’espulsione della facoltosa signora Shalabayeva. Una espulsione contestata, che scatenò nel 2013 anche una bufera politica, e che anche in queste ore il governo italiano (come allora) interviene per affermare che l’espulsione fu gestita “nel rispetto delle regole”. Occorre fare un passo indietro per ricostruire cosa è accaduto all’epoca dei fatti. Era il 28 maggio 2913, verso le tre del pomeriggio, quando Cortese su indicazione del Questore di Roma, Della Rocca (altro stimatissimo dirigente generale della Polizia di Stato), riceve dei diplomatici Kazaki , i quali dichiaravano che a Roma, in una villa di Casal Palocco, si rifugiava un pericoloso latitante kazako: Ablyazov Mukhtar. L’uomo veniva indicato come vicino ad ambienti terroristici in grado di attuare un possibile attentato a Roma. L’intervento della squadra Mobile di Roma veniva richiesto esclusivamente per catturare un latitante che le autorità del Kazakistan consideravano “pericoloso a livello internazionale”. Renato Cortese ha passato la sua vita ad arrestare latitanti mettendo in atto sempre la stessa procedura che è quella prevista dalla legge. Cortese nella sua carriera ha catturato latitanti pericolosi di Cosa nostra come Bernardo Provenzano, Pietro Aglieri, Giovanni Brusca, Salvatore Grigoli e Vito Vitale, solo per citarne alcuni. Ma non ha risparmiato –  portandoli in carcere –  boss della ‘ndrangheta, “colletti bianchi”, corrotti della mafia siciliana e calabrese, magistrati collusi e clan di Roma e del litorale laziale. Parliamo di un vero e proprio uomo di Stato, un servitore del Paese. Ebbene, Renato Cortese prima di fare qualsiasi cosa inizia a verificare quanto raccontato dai Kazaki e riceve una nota ufficiale dell’Interpol da cui risultava che realmente Ablyazov era ricercato in campo internazionale. Solo dopo aver avuto la conferma dall’Interpol Cortese organizza insieme a Lamberto Giannini , attuale capo della polizia, la perquisizione nell’abitazione indicata. Cortese tra l’altro non partecipa personalmente alla perquisizione e non incontrerà mai Alma Shalabayeva. Il giorno dopo viene informato che il blitz non aveva portato all’arresto del latitante mentre gli viene riferito che la Digos aveva accompagnato all’ufficio immigrazione due persone prive di regolari documenti per soggiornare in Italia e una di queste poteva essere la moglie del latitante. Salvo il fatto che la donna veniva denunciata per il suo falso documento attraverso il quale si faceva chiamare Alma Ayan e non aveva alcun permesso di soggiorno nel nostro Paese. La donna continuava però a sostenere di chiamarsi Ayan e solo all’ultimo momento i suoi avvocati dichiarano che è la moglie del dissidente Ablyazov. Sorvolando su tanti altri passaggi, c’è da sottolineare che il Kazakistan è un Paese che fa parte dei 191 Paesi Interpol e – come riferito ai giudici dall’allora Questore di Roma Della Rocca –  “qualsiasi richiesta provenisse da quel Paese per noi valeva come qualsiasi altra nazione del mondo”. Si è trattato, in poche parole, di una disponibilità istituzionale per aiutare un altro Paese – che fa parte del gruppo Interpol – a catturare un suo latitante. Un articolo di tre mesi fa del “L’Espresso” conclude la ricostruzione dei fatti avvenuti in questo modo: ” Ad oggi l’unica constatazione che si può fare, basandoci sui documenti e i riscontri, è che un gruppo di validi poliziotti a caccia di un latitante pericoloso, per aver svolto esattamente le procedure che gli agenti conoscono bene, sono stati condannati per sequestro di persona. Il sequestro della stessa persona che andava in giro per Roma sotto una falsa identità e con un passaporto diplomatico fasullo”. Per concludere la ricostruzione c’è da aggiungere che l’Italia revocò l’espulsione “in autotutela” solo l’11 luglio del 2013, dopo che la donna era stata già caricata su un aereo diretto in Kazakistan insieme alla figlia Alua di 6 anni, quando si apprendeva della esistenza di titoli di soggiorno rilasciati alla signora Alma Shalabayeva dalle autorità britanniche e lettoni. I condannati si presenteranno così questa mattina davanti ai giudici della Corte d’Appello di Perugia, il presidente del collegio sarà il dottor Paolo Micheli che dovrà come prima cosa pronunciarsi sulla richiesta dei difensori di chiamare a testimoniare l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il pm Eugenio Albamonte che in primo grado i giudici del Tribunale non hanno sentito il bisogno di chiamare.