Mobilita’ sanitaria, le performance dell’ Umbria e i saliscendi dei pazienti. Due anni di giunta Tesei e la sanita’ trovata nel 2019

Più di 800 mila italiani, l’anno prima che scoppiasse la pandemia di Covid, si sono ricoverati nelle strutture sanitarie al di fuori della regione di residenza. C’è anche chi ha attraversato diversi confini, macinando centinaia di chilometri, per ricoveri e visite di controllo. Del resto chiunque è libero di scegliere dove curarsi, il diritto alla salute non è condizionato dal luogo di nascita o residenza. L’interrogativo è un altro: quali sono i motivi che spingono i malati a cercare assistenza lontano da casa. Di solito sono due: quando si è in presenza  di un disservizio locale che costringe i pazienti a spostarsi in un’altra regione per ricevere un trattamento e quando si tratta di patologie per le quali sono necessari interventi di elevata specializzazione , concentrati solo in alcune sedi di riferimento. Naturalmente l’emigrazione ha un risvolto economico non di poco conto: la regione che fornisce l’assistenza sanitaria viene rimborsata da quella di residenza del cittadino. Per questo, e per altre ragioni, la mobilità interregionale merita attenzione. Nelle ultime settimane in Umbria si è acceso un duro confronto politico tra le forze di maggioranza e quelle di minoranza proprio su questo tema, con le prime che accusano la precedente gestione di governo, scaricando sul centrosinistra le responsabilità del “saliscendi” degli ultimi anni. Per il centrodestra il saldo tra fuga dei residenti in Umbria e capacità di attrarre pazienti da fuori regione è negativo per colpa delle scelte sbagliate del centrosinistra. Vediamo allora cosa è effettivamente successo in questi ultimi anni e cosa può avvenire nei prossimi, con una semplice premessa: fra il 2008 e il 2018 la stragrande maggioranza delle regioni – fatta eccezione di 3 o 4 regioni del nord come Veneto,Toscana e Lombarida –  è stata costretta a fare i conti con livelli record di mobilità.  Secondo l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) il volume economico di tutte le prestazioni sanitarie fornite extraregionali è passato – nel decennio 2008-2018 – da 3,6 miliardi di euro a 4,3, con un aumento del 19 per cento. ” La tendenza dei cittadini di curarsi fuori regione è in crescita ovunque”, precisa Domenico Mantoan, direttore generale di Agenas. In questo contesto anche l’ Umbria, come Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Marche, Liguria, Lazio e altre 9 regioni, è stata costretta a fare i conti con questa nuova realtà. Dopo gli anni settanta,fino agli anni novanta, l’ Umbria rappresentava la prima regione del nord per tutto il mezzogiorno del Paese, con tantissimi studenti del sud che venivano a studiare medicina a Perugia. Calabresi, pugliesi, lucani che per guarire emigravano in Umbria e che preferivano rivolgersi ai servizi sanitari della nostra regione. Un periodo molto positivo per la piccola Umbria dove c’era una facoltà di Medicina prestigiosa, scuole di specializzazione molto apprezzate e professionisti di fama internazionale. Basta pensare alla clinica medica del professor Paolo Larizza, capostipite di una scuola pressa la quale si sono formati alcuni dei migliori professionisti del nostro Paese. ” Orgogliosi di essere stati allievi dell’eccellente professor Larizza”, disse un giorno Giancarlo Agnelli, presidente della scuola di medicina e chirurgia di Perugia,  da poco in pensione e professionista di valore internazionale. Si potrebbero citare tante altre ragioni per spiegare cosa è successo negli ultimi anni, a cominciare dalle difficoltà sempre più evidenti che ha incontrato l’ex facoltà di Medicina che hanno condizionato l’organizzazione e la competitività del servizio sanitario dell’ Umbria. Malgrado tutto questo e i livelli record della mobilità interregionale che si è registrata in Italia negli anni, l’ Umbria nel 2019, ultimo anno di governo del centro-sinistra, ha registrato un numero di ricoveri di pazienti provenienti da altre regioni superiore a quello di pazienti umbri che sono scappati in cerca di un ricovero lontano da casa. Infatti, secondo i dati ufficiali del ministero della sanità, nel 2019 si sono registrati in Umbria 18.971 ricoveri di pazienti provenienti da altre regioni mentre sono stati 17.590 gli umbri che hanno preferito rivolgersi a strutture ospedaliere fuori dai confini regionali. Insomma, sui ricoveri il saldo dell’ Umbria era nel 2019 ancora positivo. La regione Marche, ad esempio, già allora registrava un saldo negativo: 30.547 marchigiani erano scappati dai propri ospedali mentre l’attrazione dei nosocomi locali si era fermata a 23.547. Un saldo negativo lo registravano anche regioni come l’ Abruzzo, Lazio, Liguria, Piemonte e tutte le regioni del Sud. Questa la realtà di quanto è avvenuto in questi anni, dell’emigrazione che c’è stata, i motivi che hanno spinto le persone a spostarsi fuori regione e l’ Umbria che il centrosinistra ha lasciato alla nuova maggioranza di centrodestra. Da questa analisi dei flussi sanitari sia in entrata sia in uscita spetta ora al governo regionale capire dove intervenire per potenziare o riorientare la rete dei servizi sanitari, se si vuole evitare la fuga di pazienti. Partendo dalla consapevolezza che c’è una mobilità “buona” difficile, e forse nemmeno auspicabile, arrestare, che è quella di altissima complessità, per patologie rare o la cui casistica è limitata. In questo caso sarebbe comunque necessario creare un solo polo regionale , in considerazione del bacino dell’Umbria, dove concentrare i pazienti, al fine di sviluppare volumi di attività che mantengono “allenata” l’equipe sanitaria e, di conseguenza, ottenere migliori esiti di salute. Il vero problema dell’Umbria riguarda, invece,  la richiesta di prestazioni fuori regione di bassa o media complessità assistenziale, cioè per problemi di salute routinari,  che non richiedono importanti investimenti di risorse e professionali, e sono causati dalla carenza di servizi o da lunghe liste di attesa. Questo tipo di mobilità va affrontato e risolto perché tra l’altro genera ingiustizia sociale, poiché solo i pazienti con reddito medio-alto sono in grado di sostenere i costi delle trasferte. Quindi, per concludere: la situazione dell’ Umbria, al di là delle stucchevoli polemiche politiche, resta ancora “virtuosa” sia pure con un saliscendi che va affrontato adeguatamente; per non perdere competitività vanno fatte scelte  capaci di costruire centri regionali di eccellenza con una casistica adeguata per assicurare qualità e sicurezza; occorre interrogarsi sui bisogni di salute dei malati che migrano altrove e facilitarne la presa in carico sul territorio umbro; rafforzare la sanità pubblica evitando tentazioni di privatizzazione magari con la scusa di risolvere il problema delle liste di attesa. Nel 2019 la sanità dell’Umbria, sia pure con le difficoltà ricordate, era ancora in grado di attrarre ricoveri da fuori regione e con i conti di bilancio in ordine. Dopo quasi due anni di governo sta ora al centrodestra e alla giunta Tesei dimostrare che si può fare di più e meglio. I tempi però stringono e le scelte non si vedono, la pandemia ha evidenziato tutte le difficoltà del governo regionale e il malessere che serpeggia tra il personale sanitario. Continuando così l’ Umbria diventerà  sicuramente una regione a saldo totalmente passivo.