Sette anni fa il terremoto di Norcia, il fallimento della ricostruzione e le responsabilità delle istituzioni: le inutili autocelebrazioni. Lo scempio dei cimiteri

Un momento di preghiera in piazza San Benedetto ha ricordato a Norcia la forte scossa di terremoto che sette anni fa sconvolse la cittadina della Valnerina e il centro Italia. Davanti alla facciata della Basilica, liberata dalle impalcature, si sono ritrovati i monaci benedettini, alcuni cittadini e il parroco don Marco Rufini. Sette anni fa, alle ore 7,40, una scossa magnitudo 6.5 devastò la città di San Benedetto. Da allora si sono succeduti ben cinque commissari : Vasco Errani, Paola De Micheli, Piero Farabollini, Giovanni Legni e l’attuale Guido Castelli. Sono stati anni difficili per la popolazione, anni di delusioni e rabbia. Sono state smentite previsioni e promesse, oltre che vanificate aspettative e speranze. In sette anni sono state ristrutturate in tutta l’Umbria poco più di 1.500 abitazioni danneggiate dal terremoto e conclusi i lavori di appena una quindicina di beni pubblici. Un risultato avvilente e fallimentare che ha provocato un senso di profonda amarezza e prostrazione tra la popolazione. I pochi edifici privati recuperati a Norica sono quelli della cosiddetta “ricostruzione leggera”, ovvero case che hanno subito danni minori. E’ la ricostruzione “pesante”, che implica interventi profondi,  ad incidere sul cambio di passo. Quando si analizza la ricostruzione privata, infatti, bisogna sempre tener conto delle diverse entità del danno subito dagli edifici. I dati forniti in questi giorni sono “aria fritta”, privi di effettivo significato. Espressioni autocelebrative che non trovano riscontro nella realtà. La verità è un’altra: la stragrande maggioranza delle famiglie nursine, come quelle preciane (Preci), sono dopo sette anni ancora nei prefabbricati e ci resteranno ancora per diversi anni. Nel frattempo in tutta la Valnerina, a Norcia in particolare, si registra una drammatica crisi demografica. Una diminuzione progressiva della popolazione che mette a rischio il futuro delle stesse cittadine della Valnerina e dei relativi servizi. Basta vedere gli ultimi dati sui residenti (molti solo formalmente), sullo smantellamento dei servizi sanitari e sul trasporto pubblico locale. Ricordare il terremoto del 2016 sviolinando dati insignificanti è un atto di avventatezza imperdonabile. Le responsabilità sono di molti: commissari inadeguati rispetto alle necessità, Regione che ha avallato scelte scellerate e comuni, come nel caso di Norcia. Il terremoto del 1979 rappresentò per Norcia una straordinaria occasione di crescita e sviluppo, questa volta una mazzata tremenda. A cominciare dalla scelta sbagliata del cosiddetto modello “emiliano” per l’emergenza e la ricostruzione, voluta dall’allora commissario Vasco Errani in accordo con il comune di Norcia e la Regione. Scelte sbagliate con centinaia di famiglie portate in alberghi lontani e soldi dati anche a chi avesse scelto di trovare un’abitazione fuori dalla Valnerina. Esattamente l’opposto di quanto successe nell’inverno del 1979 quando, a costo di grandi sacrifici, tutti i nursini scelsero di restare in città nelle tende, in attesa dell’arrivo dei prefabbricati. C’è una cosa che “grida vendetta”: lo strazio dei cimiteri che sono rimasti come sette anni fa. Le tombe distrutte, muri crollati, loculi danneggiati  e casse da morto in vista. Si potrebbe continuare all’infinito. Forse l’unica cosa sensata di questo giorno è stata la preghiera dei monaci benedettini arrivati, grazie all’allora arcivescovo Riccardo Fontana, dagli Stati Uniti e che il 30 ottobre del 2016 correvano tra le rovine con la stola viola sulle spalle, per aiutare i nursini in difficoltà e per confessare chi si trovasse in pericolo di vita. Anche in quell’occasione si sono messi a pregare nella piazza principale di Norcia, proprio davanti alla Basilica distrutta.