SOTTO IL CIELO DELL’UMBRIA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Piano piano, dunque, se ne va quest’estate incerta e burbera. Il taglio del cielo, lentamente, sta prendendo una forma autunnale. Le cicale ancora impazzano fra brezze consistenti e i grilli riempiono le campagne, di notte, bagnati da qualche rugiada ancora fuori stagione. Il pulviscolo estivo mediterraneo, l’afa, la calura che tutto confonde sono scesi più a sud dell’Umbria e qui hanno lasciato il posto a un cielo che, sgombro di nubi, è nitido e splendente. Forse è per questo che si vedono meglio che mai, quest’anno, le strade e i sentieri che formano il reticolo agri-culturale del quale è piena la regione: non solo il vino e l’olio, ma anche i sapori e il gusto nelle loro infinite articolazioni, la gastronomia e il cinema. La “coltura” fa “cultura” alla grande, con l’impegno della Regione in prima linea e, sul posto, le Strade del vino, la Strada dell’Olio, senza dimenticare i Gruppi di azione (locale), col loro carico di entusiasmo e di innovazione, che li fa assomigliare a dei volontari del rilancio economico e turistico.

Manifestazioni ormai storiche (“I primi d’Italia” a Foligno) si trovano su una vetrina scintillante accanto a eventi di nascita più recente, a combinazioni di pacchetti turistici a volte azzeccati, a volte bizzarri. La sigla su tutto è rigorosamente in inglese: lifestyle.

La vecchia cultura (non le “colture”, ma in prima persona la “cultura”) contadina umbra sembra, invero, un po’ sovraccarica. Il peso che che si è deciso di far gravare sulle sue spalle è di una certa consistenza: si parte dal folklore, si aggiunge l’enogastronomia e si guarnisce con la cultura. Tutte cose sconosciute, nella loro forma commerciale, all’Umbria degli anni Sessanta del secolo scorso, per non scendere che il gradino più vicino nel passato prossimo della nostra storia. Da dove nasce il folklore se non da uno studio sulle tradizioni orali del mondo contadino sul quale hanno proliferato stuoli di antropologi per i quali, provenendo dalla città, ogni elemento della vita quotidiana del contado rappresentava e rappresenta una forma di stupita meraviglia? Da dove nasce l’enogastronomia se non dall’evoluzione della preparazione dei grandi chef che hanno ripreso e intellettualizzato la prosaica parca mensa del “zappatore”? Da dove nasce la cultura se non dal meccanismo che tende a far circolare chiese e castelli, rocche e pievi nell’orbita di un commerciale “stile di vita” umbro?

Certo, il reticolo che si è creato e che si va infittendo un suo compito lo svolge e i riscontri, i “dati alla mano”, sono in qualche modo dalla sua parte. Ciò che si vorrebbe, a questo punto, è il reinvestimento dei ricavi in vera e propria sponsorizzazione culturale. L’agricoltura – nel senso dei suoi derivati in termini di indotto turistico, compresa tutta la filiera agrituristica – investa direttamente sulla cultura, contribuisca a rendere possibile qualche evento culturale di maggiore ambizione di quelli che guarniscono la torta del lifestyle. Se ciò, beninteso, è possibile, se, cioè, non si giudica che le risorse per l’agricoltura è più opportuno spenderle per contribuire a rendere meno critica la reale situazione delle nostre campagne. Però, allora, non si spiega come mai una regione la cui agricoltura, senza demeriti per nessuno, non gode, sia poi nella condizione di contribuire alle filiere virtuose del folklore e dell’enogastronomia, compreso il “tour del chilometro zero”, che può sembrare un palese nonsense nonostante le chiarissime intenzioni che lo sostengono.

Tra “colture” e “culture” non rischiamo, in realtà, di avvitarci nel giro dell’orto? Mi si risponderà di no, naturalmente, che con questa progettazione si incontrano marketing ed Europa (i fondi per questo tipo di operazioni dovrebbero venire da lì), tradizione e innovazione, paesaggio e storia. E ne convengo, anche se resto convinto del fatto che una regione non può sovraccaricare di cultura il suo folklore senza cadere nell’oleografia e che la modestia, nei secoli dopo Francesco e Iacopone, della nostra tradizione di cultura poetico-letteraria mostra tutta la sua inadeguatezza come fonte di ispirazione per un messaggio contemporaneo forte, emozionante e incisivo, utile anche ai fini della promozione turistica, in grado di caratterizzare il lifestyle.

Non resterà, forse, che chiedere aiuto ad alcuni scrittori italiani, invitandoli a venire in Umbria a scrivere testi sui nostri borghi, e intanto fermarci, con l’estasi nel cuore, semplicemente, sotto il cielo dell’Umbria, almeno per tradurre correttamente in italiano lifestyle?

 

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