DIS…CORSIVO. IL PAPÀ, IL BABBO E LA SCARSA FAMIGLIA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Nada, cantante toscana arrivata la successo negli anni Sessanta, cantava l’abbandono da casa per fuggire con il ragazzo del cuore indirizzando una lettera al padre.

Niente meno! Chiedeva al padre, a chiare lettere, di farsi interprete presso la madre del gesto che stava compiendo, contando sul fatto cha anche lui, da giovane, era stato follemente innamorato della madre: “Pà diglielo a mà che la porto nel cuore”. Cosa non si faceva, cosa non si diceva negli anni Sessanta! Oggi, Festa del papà, qualcuno dei nostri genitori avrebbe potuto chiamarla Festa del pà. E via profanando, senza dare giudizi morali, anzi stando dalla parte del carattere affettuoso con cui il termine padre viene chiamato in mille momenti della giornata a sostituire il normale grado lessicale di “padre”. E la differenza più marcata, lo sappiamo, che esiste in Italia fra i vari sostituti del termine padre è, in Italia, fra papà e babbo. Perché oggi, allora, è la Festa del Papà e non quella del Babbo? Papà, anche questo sappiamo, è diventato il termine dominante a causa della sua semplicità di parola internazionale, globale, rifà il verso al primo balbettio, è onomatopeica come più non si potrebbe, mentre babbo si va sempre più restringendo all’ambito toscano. Nada, insomma, avrebbe potuto cantare “Babbo, dillo alla mamma”, ma saremmo stati fermi, in piena epoca di contestazione giovanile, al libro “Cuore” e questo nessuna comunicazione poteva tollerarlo, né allora né tanto meno oggi. E va bene che abbiamo un Presidente del Consiglio toscano, al quale sicuramente viene di dire “babbo” anziché “papà”, ma l’unità linguistica dell’Italia, raggiunta da qualche anno, ha scelto “papà” e adesso si esprime con ben altre storture da social che quella della pacifica distinzione rimasta tra “papà” e “babbo”. Se avessi più spazio, chiederei al “Donca” di discettare sulle frequenze d’uso dei due termini nella dialettale Perugia: mi basta ricordare che da noi, “il papà” ingentilisce e nobilita il termine dominante come forse in pochi altri contesti regionali, salvo poi inselvatichire nel “bebo”, strettamente perugino o meno che sia. Insomma, nel giorno della Festa del Papà ci sarebbe da divertirsi a dismisura, se non fosse per il fatto che il “padre”, anche da noi, sceglie spesso strade di irresponsabilità ed è notevolmente concausa dei fenomeni di penuria familiare che consistono non solo e non tanto nelle separazioni, nei divorzi e simili, ma anche e soprattutto nella incapacità di esprimere il ruolo che gli è dovuto. Un ruolo, pur sempre, sacro, una famiglia più spesso scarsa: questa è la contraddizione e di questa, però, non hanno colpa né i “pà” né i “mà”, né il “paparino” né “’l mi babbo”, ma solo una maturità nei sentimenti poco cercata e una incomprensione, di coppia, sulla qualità e sulla quantità del tempo che si dà a i figli.

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