Dis…corsivo. L’apostrofo verde

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Se cercate l’Umbria di un tempo, rassicurante e tradizionalista nonostante la carica rivoluzionaria dei partiti di sinistra degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, potete fare un giro alla “Festa de l’Unità” di Perugia, che s’apre venerdì a Ponte Valleceppi.

Non c’è niente di male ad essere, nello stesso tempo, innovatori e tradizionalisti, vantare grossi proclami libertari e chiudersi in più ristrette, e provvisorie, conquiste amministrative. Da che mondo è mondo, le Feste dello storico giornale sono state fatte per far esplodere, come in un carnevale, le pulsioni massimaliste, prima di ritornare, con l’autunno, nella gestione dell’apparato locale, scontrandosi qua e là con la Dc, ma mantenendo la barra dritta sulle caratteristiche moderate di fondo dell’elettorato umbro, anche quello che votava per il Pci pur non sentendosi estraneo al richiamo dei partiti di centro.

Le Feste di oggi seguono lo stesso cliché, sono il contesto spettacolare più continuista che il Partito democratico possa vantare. E per capirlo ben bene, bisogna venire in provincia, nella provincia più profonda, quella che rimane nonostante l’abolizione dell’ente omonimo.

Il programma della Festa perugina di oggi è caparbio, serioso, compunto e inflessibile nella scelta dei temi da dibattere come lo era decenni fa, si regge su un equilibrio bilanciatissimo delle componenti interne del Pd, suona e canta del suo lasciando il ballo a un’infilata di orchestre spettacolo.

Non ci trovo niente di diverso rispetto alle storiche parate del Pci, ma questo non vuol dire che la componente ex democristiana è diventata succube del disegno egemone della sinistra. Vuol dire solo, per lo meno qui nella provincia profonda, che un disegno egemone, in realtà, non ce l’ha più nessuno, non fa comodo a nessuno averlo, che il Pd, dunque, esiste, davvero, sulla base di una sospensione del primato correntizio, che c’è mancato un pelo che finisse in minoranza, che dovrebbe sostituire le Feste de l’Unità con qualcosa d’altro, ma che ancora non ha sviluppato un immaginario adeguato e perciò, per non sbagliare, celebra una funzione che ricalca il vecchio rito della “Chiesa” togliattiana preconciliare, con una messa in latino – cioè in politichese – che soltanto quelli che stanno sul palco capiscono se non si distraggono troppo.

Eccola, allora, l’Umbria di un tempo, rassicurante e tradizionalista, andare alla Festa de l’Unità, seguire noiose concioni per opportunità varie, uscire dagli stand prima che i dibattiti entrino nel vivo ma sospettosa di oscuri disegni se, per caso, l’anno prossimo la Festa non s’avesse da fare.

Ci vorrebbe, davvero, il coraggio di cambiare, di puntare sulle energie che il Pd ha come nessun’altra forza politica e di utilizzarle non più e non solo per tenere unito il partito ma per farlo camminare, come parola nuova, fra la gente della provincia umbra. Il partito, nonostante brutte avvisaglie qua là, non corre, in Umbria, rischi di spaccature verticali e, dunque, fa male ad attardarsi a esibire la sua “unità” alla Festa quando dovrebbe essere movimento continuo, che non ha bisogno di palcoscenici, ma di strade aperte e libere, di entusiasti, di fantasiosi, di volontari autentici, ispirati, di bizzarri parolai com’erano, anni fa, i giovani che si rifacevano ai movimenti cattolici.

E, allora, mi viene da pensare: stai a vedere che i più rivoluzionari, negli anni, sono stati proprio i militanti della Dc, più ancora di quelli “di professione” del Pci; che abbiamo sbagliato tutto confondendo i soggetti della rivoluzione e quelli della reazione; che ciò che serve al Pd di oggi è una passione finalmente meno intellettuale e più emozionale, l’eredità di un carisma centrista ancora tutto da sperimentare; che l’apostrofo verde sulla testata di oggi de l’Unità – novità minima ma strabiliante – è giusto il segno di un investimento che rinasce e che scommette sul passato libertario di un partito cattolico.

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