La sferzante (e generalizzata) accusa di Davigo impone alla politica e a ognuno di noi il dovere di approfondite riflessioni

La politica e la magistratura, i politici e l’opinione pubblica, il servizio per la collettività e lo scetticismo della gente nei confronti di chi ha in mano le leve del potere. Sono tanti i concetti che si incrociano all’indomani della rovente accusa (‘’Rubano come prima, solo che ora non si vergognano’’)lanciata da Camillo Davigo, nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati.

Lo sferzante commento di Davigo si innesta all’interno di vicende che, dal sud al nord, vedono politici- di tutti i colori- alle prese con inchieste giudiziarie e perfino con provvedimenti ristrettivi della libertà personale.

Gli effetti di degenerazioni sempre più plateali sono- secondo raffinati interpreti dei fenomeni- di duplice ordine: per un verso la gente si lascia andare a commenti sommari e spesso superficiali, per l’altro- ancora più grave- è che le molte persone per bene non si fanno attrarre dal desiderio di impegnarsi per affrontare le esigenze delle comunità. Sembra evidente che la brusca riflessione di Davigo sia tanto caustica quanto troppo generalizzata. Ha sparato nel mucchio? E’ però anche innegabile che l’affastellarsi di notizie su ‘politici’’ incriminati o arrestabili stia determinando fra la gente una specie di indifferente assuefazione. Un sondaggio pubblicato nelle ultime ore rivela che gli interpellati sui rimedi contro il ‘’marcio’’ raccontato dalle cronache abbiano dichiarato: ‘’Non ho speranza, non c’è proprio nulla da fare’’.

Ma davvero le misure o le contromisure possono essere affidate soltanto agli investigatori e a chi esercita il potere della giustizia? Davvero il senso etico- individuale e di massa- non può prevalere sull’andazzo delle violazioni?

Il monito riguarda tutti. Cioè ognuno di noi.

RINGHIO

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