LEVANTE. Considerazioni del mattino PERCHÉ ASSISI

di Maurizio Terzetti
L’importanza e la grandiosità degli appuntamenti voluti per ricordare i trent’anni dello “Spirito di Assisi” non possono far dimenticare il lungo processo che ha portato a fare della città di San Francesco il punto di riferimento mondiale dell’impegno per la pace e per il dialogo.
Non rifare questo percorso potrebbe far credere a tutti che il ruolo di capitale mondiale della pace Assisi lo ha da sempre, o per lo meno che quel ruolo è scontato e acquisito come un dato naturale.
E, invece, è il frutto di un’evoluzione storica non semplicissima né piana, come è la pianta rigogliosa di oggi che deve evolvere verso il futuro con progetti nuovi e un carisma da rifondare ogni volta, possibilmente precedendo l’imprevedibilità degli scossoni che alla pace provengono e possono provenire da ogni angolo del pianeta, spesso con una simultaneità che nessuna azione dotata di senso, anche politico, riesce a contrastare.
Cento anni fa, in pieno conflitto mondiale, ad Assisi c’era un piccolo grande nucleo culturale che tentava di dialogare, nell’ineluttabilità della partecipazione alla guerra, con l’Europa belligerante e con il mondo in subbuglio in nome della parola di pace di San Francesco. Era un messaggio minimo, ma ben strutturato, dalla Società internazionale di studi francescani, che ritroveremo, una decina d’anni dopo, nel 1926, grande e maturo nell’organizzazione del centenario francescano. Il dato incontrovertibile è che siamo in pieno fascismo, ma assistiamo alla fusione della componente laica e civile della città con quella religiosa e francescana nell’organizzazione di un evento che fa balzare Assisi per la prima volta sul proscenio europeo della complessità mondiale.
E saranno questi – Europa e altri continenti – i termini dello scontro bellico ormai in larga preparazione. Durante la seconda guerra mondiale, Assisi quel suo ruolo centrale per la pace conquistato in maniera così intelligente sembra perderlo del tutto, salvo a viverlo nella sua intimità cittadina a favore della salvezza di ebrei e perseguitati d’ogni tipo e a vedersi non martoriata da pesanti attacchi militari.
Seguono anni di relativo silenzio dell’impegno per la pace: nel secondo Dopoguerra e negli anni Cinquanta in particolare, lo “spirito” del 1926 viene affiancato da una frenetica attività per il dialogo svolta dalla Pro Civitate Christiana in termini molto cambiati e proiettati sulle povertà che il mondo, nel frattempo, fa conoscere con sempre maggiore evidenza.
Si prepara così il clima della Marcia di Capitini e del successivo arrivo ad Assisi, per la prima volta dopo l’Unità d’Italia, di un Papa, Giovanni XXIII: Capitini raccoglie inevitabilmente un fronte politicamente ben definito di sinistra che intende interpretare la coscienza laica, Giovanni XXIII compie un gesto di reverenza verso San Francesco che gli ottenga l’efficacia della sua volontà di rendere ecumenica almeno la Chiesa di Roma.
In tutto ciò, Assisi ha perso la regia del movimento per la pace da cui era partita un quarantennio prima: la città si offre e si prodiga, ma la spinta a farne la capitale della pace proviene sempre più dalla politica nazionale e dalla Chiesa.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo, intervengono due elementi di grande novità, di nuovo molto strutturati su una possibile regia della città di Assisi: nel 1978 viene fondato il Centro Internazionale per la Pace fra i Popoli e nel 1982 l’ottavo centenario francescano, sotto gli auspici della Regione, rilancia e aggiorna il messaggio lanciato nel 1926.
Quando Giovanni Paolo II indice la storica giornata di preghiera del 27 ottobre 1986 sono trascorsi settant’anni dal timido messaggio di pace della Società Internazionale di Studi francescani.
Il seme lanciato quel giorno è diventato una pianta ricca, coltivata in diverse maniere da Benedetto XVI e da Francesco. E oggi l’impegno più grande, per la città di Assisi, è di nuovo, poter riconquistare, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, alle Diocesi e alle Famiglie Francescane un ruolo propositivo che premi l’anima diffusa e viva della realtà comunale, perché la storia dimostra che proprio dai piccoli fermenti che nascono, impensati, in questa città, su questa collina, frammisti a una quotidianità di normalissima importanza, si generano, altrettanto impensati, progetti che attraversano i secoli e parlano alle coscienze.

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