DIS…CORSIVO. 10 DICEMBRE 1914

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Continuo nel mio personale percorso di rivisitazione dei sentimenti dell’opinione pubblica e della politica che hanno contraddistinto, precisamente sento anni fa, il lento avvicinamento dell’Italia all’ingresso nella Grande Guerra. I lettori umbri de “L’Unione Liberale” del 10 dicembre 1914 trovavano un editoriale di Mario Morasso, intitolato “Tornando alla realtà”, nel quale un intellettuale fervente nazionalista rivedeva molte delle sue posizioni nel momento in cui la guerra, tanto invocata, cominciava a presentare il suo conto di morti e di lutti.

Scrittore, poeta, saggista e giornalista di fama nazionale, Morasso, da buon futurista, aveva scritto che “la guerra è la prima, la più istintiva, la più naturale di tutte le industrie” e aveva elogiato la razionalità scientifica delle nuove armi. Come si può leggere nell'articolo che pubblico integralmente, egli prendeva atto drammaticamente che lo scontro delle nazioni all’avanguardia del progresso stava già producendo crimini orrendi: uomini di comando e soldati semplici compivano eccidi gratuiti e assurdi, non contemplati dal codice militare, né dal più comune senso umanitario della giustizia.

Già nell'agosto del 1914, nella rivista “Il Marzocco”, aveva potuto scrivere: “Spie, fucilazioni sommarie, prigionieri di guerra, paesi incendiati, città rase al suolo, ostaggi, esodo di intere cittadinanze, pozzi avvelenati, navi colate a picco, soldati che sparano dietro trincee di cadaveri, requisizioni, e tante altre locuzioni somiglianti che ora si incontrano ripetute decine di volte su ogni colonna di giornale […]. Fino a un mese fa nessuno avrebbe mai sognato di scorgere nel forestiero una spia da impiccare e nel medico uno spargitore di tifo da fucilare dopo averlo obbligato a scavarsi la fossa”.

Adesso, il 10 dicembre 1914, nell'articolo di fondo “Tornando alla realtà”, prosegue lungo questo percorso sul baratro aperto dalla guerra, consapevole che anche l'Italia, inevitabilmente, prima o poi dovrà precipitarvi.

“Tornando alla realtà

Per una cosa almeno può esser lodata la presente guerra, poiché essa è venuta a togliere il denso e pernicioso diaframma con il quale era stato abolito ogni sano contatto tra l'uomo e la realtà.

Le maggiori stragi della guerra presente non sono già di uomini, ma di ubbie, di utopie, di fantasticherie, di vaneggiamenti morbosi, romantici, irreali. Essa ha demolito molti falsi idoli e in primo luogo quello della fratellanza, ha abbattuto molte antiche credenze e molti pregiudizi inveterati, ha infranto molte illusioni e specialmente tutte quelle umanitarie, ha smentito innumerevoli previsioni e teorie, a cominciare da quelle sulla fine delle guerre, ha scompigliato le più simmetriche costruzioni realistiche sulla marcia del progresso, ma soprattutto ha irrimediabilmente distrutto, brutalmente e definitivamente rovesciato, come un soffio di vento atterra un castello di carte da gioco, il cosiddetto diritto internazionale di guerra.

Qui la strage è stata completa, e il buon senso umano, il senso pratico è stato reintegrato al suo posto.

Ben mi ricordo, che fino da quando sotto la guida di un vecchio professore, ora defunto, dovevo studiare all'Università quell'insieme di astruserie, di convenzioni che da Grozio in poi ci sono spaventosamente accresciute, che hanno per la maggior parte avuto la loro culla nella patria degli albergatori e del cioccolato, e che sono state studiate dagli uomini politici unicamente per essere deluse, io mi ricordo che anche senza rendermene conto esatto, sentivo per questo insegnamento, tutto teorico e destinato a restarlo sempre, una avversione invincibile. Mi pareva che si trattasse di tutto un insieme di capricciose asserzioni, di orme mistiche stiracchiate sopra convenzioni e presupposti fittizi e immaginari; sentivo che tutto questo artificio arbitrario mellifluo non solo era lontano da ogni realtà, non solo non proveniva da alcun iniziale impulso di vita, ma anzi era la negazione della vita stessa, la più assurda e grottesca falsificazione della vita.

E la prima impressione giovanile non si è più dileguata, al contrario si è rafforzata, ha preso consistenza e consapevolezza. Che cosa erano tutti i vantati accordi, tutti pomposi trattati sottoscritti a Ginevra e all'Aja, tutte le platoniche e avveniristiche legislazioni escogitate da tutti gli ideologi sul modo più innocuo di fare la guerra, sulla condotta dei belligeranti, sui loro reciproci diritti e doveri, sulla umanizzazione della strage, celebrati tra i più insigni progressi della civiltà? Che cosa erano se non la più strana aberrazione larvata di pietà e perciò soltanto accolta come una cosa possibile?

Certo l'aberrazione più folle, più incredibile che mai abbia albergato in un cervello umano, l'assurdo massimo, l'impossibilità assoluta scambiati dal sentimento esaltato per una speranza realizzabile nel futuro.

E lo si scorge immediatamente quando si pensi che tutte queste norme restrittive intorno la guerra non derivano che dal più potente dei controsensi, per il quale la norma e ciò che ne è oggetto si contraddicono e si elidono, anzi si escludono scambievolmente. Si vuole umanizzare ciò che per quel momento tende a essere il più inumano possibile, si vuole diminuire il male inferto quando ciò che si cerca si è appunto di arrecare il maggior male possibile, si creano limiti pietosi quando la pietà è abolita e non vi è altro limite che quello segnato dalle proprie forze, si istituisce una specie di potestà morale astratta contro la forza quando a questa ci si appella come ad arbitro supremo; insomma si pretende di volgere ad un dato effetto un'attività che consiste precisamente nell'effetto opposto.

Orbene, la grande guerra attuale ha dimostrato fin dal primo istante l'inanità di tutta questa accademica giurisprudenza teorica, ha ristabilito l'impero della natura, l'uomo ha subito prevalso sul mostriciattolo artefatto che gli si era voluto sostituire e la naturale legge della forza ha abrogato questo finto diritto.

Le famose convenzioni del diritto internazionale sono cadute irremissibilmente nel nulla, come se non fossero esistite mani, e come del resto si è sempre verificato in ogni guerra.

La lotta si è aperta ed è proseguita attraverso a tutta una innumerabile sfilza di infrazioni, di violazioni di questi o di quegli articoli sanciti nelle città svizzere e olandesi, ogni giorno segnalate in lunghi telegrammi denunziatori dei belligeranti.

E le stragi umane, i tragici eccidi del piccolo Belgio che hanno seminato di cadaveri i suoi campi sterili non sono stati che la conseguenza terribile degli inganni orditi dalle più dolci e lusinghiere utopie. Il belga scontò con la vita la sua buona fede e l'altrui inganno.

Spettacolo crudele ma significante per cui la natura si dimostra eterna e immutata, e si disperde ogni morboso sogno che atteggi a contrastarla!”

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