DIS …CORSIVO

DIS…CORSIVO

Maurizio Terzetti / Martedì scorso, tra “Ballarò” e “Dimartedì”, è andato in onda un fastidioso “effetto diplopia” imputabile a strabismo congenito del mondo della comunicazione. Se lo strabismo è “una deviazione di uno o entrambi gli occhi rispetto al punto di fissazione”, la diplopia che vi si può associare acuisce le difficoltà di concentrazione dello strabico in quanto uno stesso oggetto viene captato due volte, tanto in senso orizzontale quanto in senso verticale, senza che il cervello riesca più a fare quella “fusione” centralizzata dell’immagine che determina il benessere del vedente. La Rai ha puntato tutto sulla nuova interpretazione del vecchio format da parte di un giornalista che, in tutta sincerità, ha perso, nella conduzione, lo smalto che aveva da consumato salottiere del precedente conduttore.

La7 ha scommesso sulla continuità del sornione Floris, personaggio in grado di replicare se stesso con indubbia facilità, sia che si rivolga a un pubblico di connazionali che, poniamo, a una comunità di cingalesi.
Non mi interessa che, alla fine, il primo round sia andato con grandi numeri a Giannini. Sono preoccupato, invece, per la forzatura allo strabismo alla quale possiamo andare incontro nella prima serata di tutti i martedì che ci aspettano da qui alla fine della stagione invernale. Mesi e mesi di scenografie con vialetto centrale per la deambulazione del conduttore che si assomigliano a dispetto delle variazioni di intensità dei collegamenti esterni, delle sortite d'assalto alla “Report”, delle presenze di ospiti illustri! L'occhio, insomma, ha di fronte a sé due oggetti talmente simili che sembrano lo sdoppiamento di un unico parto di inventiva televisiva. L'unica differenza sembra essere nel ritmo al quale gli oggetti si muovono: con passo lento e dinoccolato quello di Giannini, con passo sottoposto a improvvise accelerazioni quello di Floris. Il passo di Giannini lo conosciamo un po' meno (finora lo abbiamo visto sempre seduto nel suo scranno da giovane pontifex), al passo di Floris, alle sue fughe di fronte alle telecamere siamo abituati. L'eloquio lento e misurato di Giannini, a contrasto con quello, tendenzialmente usurpatore della parola altrui, di Floris: sono queste, alla fine, le residue, marginali differenze con cui si muove quello che sembra un unico, grande oggetto televisivo servito per pluralismo. Ma il pluralismo costa e deve avere dei ritorni, altrimenti si limita – e non è un danno da poco – a indurre strabismo e diplopia nel telespettatore e a impedirgli la gradevole fusione naturale del mondo, naturale o radiotelevisivo che sia, con cui la maggior parte di noi nasce.
Giannini e Floris non si assomigliano, né fisicamente né televisivamente. Che sia questa dissimiglianza a poterci far guarire da strabismo e diplopia di fronte ai loro programmi concomitanti? Temo di no, temo che anche questo spaccare il capello non salverà la vista e il cervello del telespettatore perché, somiglianti fra di loro poco o tanto, questi giovani conduttori sono, in fin dei conti, “figli della prima Repubblica” e fratelli, al massimo cugini di primo grado, di scuola giornalistica. Per questo, come Giannini si è trovato in vigile soggezione di fronte al padre nobile della Patria che molti considerano Romano Prodi, così Floris ha avuto la stessa vigile circospezione di fronte a quel nume, meno sentenzioso e più colloquiale, che è divenuto con gli anni Eugenio Scalfari. Una perfidia più grande lo strabismo con diplopia del martedì sera non ce lo avrebbe potuto riservare: il conduttore de La7 che intervista il fondatore di “Repubblica”, di cui, a Rai Tre, è conduttore uno dei vicedirettori succedutisi nella testata di Scalfari. Un incrocio veramente singolare. Una “prima Repubblica” giornalisticamente e politicamente davvero prolifica.
Solo tendente, peccato, alla clonazione.

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