DIS…CORSIVO: OCCHIO ALLO SCAMBIO!

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Qualcuno ha visto com’è intricante lo Jacquemart-André di Parigi, il Museo dal quale, agitazioni sindacali francesi permettendo, giungeranno a Perugia, nella Sala 39 della Galleria Nazionale dell’Umbria, due rasserenanti quadri di Canaletto? Chi l’ha visitato – e io non sono fra quelli che lo hanno fatto – confermerà il senso dell’elegante dimora monumentale di fine Ottocento che il sito francese illustra con grande apparato di fotografie. Niente a che vedere con le altissime sale dei piani superiori di Palazzo dei Priori di Perugia, quell’ impareggiabile esempio di edilizia civile gotica italiana da cui, nel programma di scambi sanciti da una convenzione fra i due Musei, sono partite alla volta di Parigi sette opere di Pietro Vannucci in occasione della mostra “Perugino, maestro di Raffaello”.

L’operazione, in sé, ha della validità, per lo meno è un tentativo di uscire dai limiti molto stretti di alcune scelte espositive che, dal Duemila a oggi, ci hanno fatto vedere e rivedere il Quattro-Cinquecento fino allo sfinimento. Arrivare a vedere in Umbria opere di rango del Settecento è già qualcosa, denota qualche timido segno di apertura nel ventaglio di proposte che si può aprire in Umbria per i residenti e per gli ospiti.
Qual è – mi chiedo – la progettualità dalla quale ci possiamo attendere, su questa linea, di vedere in Umbria l’Ottocento e il Novecento internazionali? Palazzo Baldeschi, ad esempio, ci aveva abituati a mostre metropolitane e moderne, ma tutto sembra essersi fermato. La Galleria rivela delle aperture che, operate nel segno della massima accortezza e del passo cauto, oltretutto avuto hanno contro di loro le agitazioni selvagge dell’Air France.
Nello scambio, si sa, bisogna andare cauti. A esso bisogna arrivare con grande determinazione ma, anche, in punta di piedi per non compromettere con avances azzardate nel momento sbagliato l’equilibrio dell’intesa raggiunta. E, dunque, il modo di procedere della Galleria Nazionale sembra quello giusto.
Ciò di cui avrei paura, se devo dirla tutta, è l’innamoramento al quale lo scambio, per regola e per consuetudine, non dovrebbe mai portare, ma che spesso reca come imprevista conseguenza.
Ripeto la domanda dell’inizio: avete visto che potere accattivante ha lo Jacquemart-André di Parigi, con il Giardino d’Inverno e le Sale allestite, senza apparente confine tra residenza privata e spazio di ricevimento, dai due grandi collezionisti, marito e moglie, che hanno voluto costruire quel Palazzo? È un’alcova d’arte, compresa quella del nostro Quattro-Cinquecento, dalla quale non si uscirebbe più. È una dimora “galeotta”, rapisce il visitatore e lo trasporta in una dimensione di fascino del tutto diverso dal gotico di Palazzo dei Priori. Non bisogna innamorarsene, altrimenti lo scambio può andare a monte.
Fatte le debite differenze di ogni tipo, l’interno del Palazzo della Provincia di Perugia ricorda un po’ lo Jacquemart-André e, se non altro, è stato costruito esattamente negli stessi anni in cui a Parigi Édouard André – erede di una famiglia di banchieri protestanti, deputato e grande collezionista – faceva terminare il suo nuovo “hôtel” sul Boulevard Haussmann.
Il Palazzo della Provincia dell’Umbria doveva essere, per il Comune di Perugia che lo aveva costruito, il Palazzo pubblico per eccellenza della città, secondo solo al Palazzo dei Priori. Non doveva essere ciò che è poi diventato, ma, come i suoi interni fanno capire molto bene, poteva diventare proprio un gran bel Museo, di quelli ottocenteschi ricolmi di quadrerie, dalle sale non altissime e con qualche ambiente un po’ più audace degli altri, come l’orientaleggiante sala che ha ospitato, fino allo scorso giugno, il Consiglio provinciale.
Ogni riferimento alla contemporaneità è, come si dice, puramente casuale, e nessuna attinenza c’è con il Giardino d’inverno dello Jacquemart-André, ma la storia insegna che ciò che non è stato compiuto e non è stato, però, nemmeno messo da parte, ha probabilmente un futuro nel quale il disegno inespresso cerca una sua ripresa e un suo compimento. Perché non fare una riflessione su tutto ciò nel momento in cui Giovanni Antonio Canal arriva a Perugia con la “Veduta del Ponte di Rialto” e la “Piazza San Marco”?

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