I CATTOLICI E LA POLITICA

di Pierluigi Castellani

Puntualmente alla vigilia di un importante appuntamento elettorale viene riproposto il problema del rapporto tra i cattolici e la politica. Lo hanno fatto recentemente Andrea Riccardi ed Ernesto Galli della Loggia nelle pagine de “Il Corriere della Sera” e lo hanno fatto anche altri mezzi di informazione come il settimanale “La Voce” con uno stimolante ed anche provocatorio intervento di Luca Diotallevi. In genere intorno a questo confronto tra accademici e politologi emerge sempre la irrilevanza dei cattolici nella politica di oggi, quasi fosse necessario un partito di cattolici per segnare la presenza dei valori cristiani nella politica. C’è un po’ di nostalgia per il passato che riaffiora in queste considerazioni, se non un tentativo maldestro di rivalutare nella chiesa bergogliana di oggi posizioni di diretti accordi tra Chiesa e potere politico come è stato , come negarlo, nella stagione ruiniana vissuta  negli anni del berlusconismo imperante. Ma per dare una risposta a questo è bene riandare alle fonti del magistero per ricordare che al di là delle propensioni politiche personali vale per tutti i cristiani di essere fermento e lievito nel perseguimento del bene comune. E’ bene quindi rifarsi a questo proposito alla “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII:  ” Ancora una volta ci permettiamo di richiamare i nostri figli al dovere che hanno di partecipare attivamente alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della famiglia umana e della propria comunità politica “.E aggiunge la Costituzione Conciliare ” Gaudium et Spes”: “In ciò che concerne l’organizzazione delle cose terrene, devono  ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali “. Per questo non c’è bisogno di evocare, ad ogni appuntamento elettorale, la mancanza di un partito cattolico, perché quello che è essenziale è la testimonianza che devono dare i cattolici in politica: essere lievito e stimolo per la ricerca del bene comune. Ma dove si nasconde la discriminante in questa ricerca? Credo che debba trovarsi nel rapporto che i cattolici debbono avere con i valori della democrazia. Non a caso c’è bisogno di una integrazione tra i valori cristiani e quelli di quella che comunemente si chiama liberal democrazia. Da qui nasce anche la distinzione tra cattolicesimo democratico e clericalismo. Del resto cattolicesimo e liberaldemocrazia hanno bisogno l’uno dell’altra. Cattolicesimo senza democrazia rischia di condurci all’autoritarismo se non ad una vera e propria teocrazia e democrazia senza i valori cristiani può rimanere una fredda formalità. Non a caso Dahrendorf ha parlato di ” freddezza della democrazia”, che può essere risucchiata in uno sfrenato liberism0 ingiusto e pericoloso. La strada per i cattolici democratici non può essere che quella della testimonianza dei valori in cui credono all’interno delle culture politiche di riferimento senza tradirli anzi redendoli fecondi e di ispirazione anche per chi non crede. Altre vie sono pericolose e del tutto inattuali nella complessa società in cui viviamo. Tutte le altre sono insidiose scorciatoie come è avvenuto nel passato. La tentazione del potere può essere forte ed allora come non ricordare quanto ebbe a dire mons. Oscar Romero :” Una Chiesa che non è perseguitata, ma gode dei privilegi e dell’appoggio dei sistemi di questa terra, faccia attenzione, perché non è la vera Chiesa di Cristo”. Ma anche la democrazia ha bisogno di nutrirsi dei valori cristiani. Come infatti non ricordare il cosiddetto paradosso di BoecKendoerf : ” Lo stato liberale  secolarizzato vive di presupposti che esso stesso non può garantire”: Qui si condensa la risposta che i cattolici devono dare alla politica: garantire quei presupposti senza i quali la democrazia si inaridirebbe ed accentuerebbe quella crisi già segnalata in questi tempi difficili nei quali viviamo.