LA REGIONE HA 50 ANNI

di Anchise

La data del 7 giungo 1970 sembra non aver avuto memoria nelle istituzioni umbre eppure è la data in cui gli umbri hanno eletto il primo consiglio regionale unitamente ai cittadini di tutte le altre regioni a statuto ordinario. Sono esattamente cinquant’anni di vita del regionalismo italiano e sono anche gli anni che hanno visto l’Umbria trasformarsi da una regione sostanzialmente agricola a conduzione mezzadrile in una regione manifatturiera con forte incidenza del tessuto di piccole e medie imprese  ma con punte di eccellenza che le hanno fatto conquistare anche mercati esteri. Basti ricordare che il PIL per abitante nell’Umbria dell’anno 1970 era ben 23 punti percentuali al di sotto della Toscana e 23 punti sopra la media del mezzogiorno in una condizione quindi che la situava a metà strada tra la vicina Toscana ed il Sud del paese. Ora le condizioni sono diverse, anche se non assolutamente ottimali, tenuto conto che l’Umbria ancora non si era del tutto ripresa dalla crisi del 2008 quando si è trovata dentro la crisi attuale dovuta all’emergenza corona-virus. Da qui possono emergere alcune domande :che cosa ha prodotto il regionalismo umbro in questi cinquant’anni di storia ed i cittadini umbri si trovano ora in un orizzonte diverso rispetto al  1970? Non è facile rispondere a queste domande, ma è certo che in questi anni c’è stato un deciso avvio dell’industrializzazione tanto che ,come dice il prof.Bruno Bracalente, che tra l’altro è stato per 5 anni anche Presidente della Giunta Regionale, il modello umbro” con molti limiti qualitativi ( bassa produttività,bassi salari, lavoro a domicilio) tanto che verrà guardato con sospetto per lunghi anni ( non solo in Umbria, ma anche in Toscana), …. ha trascinato l’Umbria fuori dall’arretratezza”. Ed è sempre il prof. Bracalente che ricorda –  “Alla Regione e alle città oggi è richiesta una capacità di pensiero lungo, di darsi obbiettivi e progetti strategici rivolti al futuro, molto maggiore di quella che era necessaria nella prima fase della istituzione delle Regioni, quando lo sviluppo veniva anche e soprattutto da sé”. Ma ,potremmo aggiungere , è certo che l’opera della regione in questo contesto, anche con tutti i limiti sopraricordati, ha saputo contribuire a dare un volto nuovo all’Umbria ed a garantire , soprattutto con il diffuso ed innovativo welfare messo in campo, quella inclusione sociale, che è la premessa indispensabile per affrontare in modo positivo ogni trasformazione sociale. Per quanto riguarda poi come gli umbri ora vivono la nuova dimensione di regionalità, non si può non osservare che prima del 1970 il  perugino ed il ternano vivevano storie a volte anche diametralmente opposte. I perugini più propensi a guardare al nord Italia e verso al Toscana   – non a caso Curzio Malaparte lì chiamò “mezzi toscani”, mentre i ternani più attratti dalla calamita rappresentata dalla vastità e dall’importanza della grande area metropolitana di Roma. Ora si può dire che , nonostante qualche latente frizione, la regione ha coltivato nell’animo degli umbri una vera e propria “cittadinanza umbra”, che prima non poteva avere neppure una recondita memoria storica. Non si può dimenticare quanto sia servito a tale scopo anche il primo piano regionale di sviluppo, frutto della stagione dei primi anni sessanta, quando economisti ed istituzioni furono chiamati per la prima volta a ragionare in termini regionali e non più meramente localistici, quella infatti fu la fase che Claudio Carnieri, attento studioso ed anche ex presidente della Giunta Regionale ha chiamato “regionalismo senza regione”. E’ sufficiente tutto questo per ripartire? Chiaramente no, ma pensare al futuro dell’Umbria senza una seria riflessione su questi cinquant’ anni di storia sarebbe puro ed inconcludente velleitarismo.