Montefranco, la storia dell’orologio simbolo di emigrazione montefrancana

MONTEFRANCO  – Un orologio in Comune diventa il simbolo dell’emigrazione montefrancana. La storia del pendolo appeso nell’ufficio del sindaco, Rachele Taccalozzi, narra la vita di una migrante e del suo amore, mai sopito, per il proprio paese e idealmente diventa la testimonianza di tutti coloro che se ne sono dovuti andare. A raccontarla è il sindaco Taccalozzi. “Ci sono storie commoventi che riemergono dal passato e che fanno riflettere – dice – come quella dell’orologio a pendolo nell’ufficio del primo cittadino.

La sua storia – rivela – si era persa nel tempo e nessuno ricordava come fosse finito lì, fino a quando, qualche mese fa è arrivata in municipio Antonella, nipote di Maria Moroni, colei che aveva donato, anni fa, l’orologio alla comunità di Montefranco”.

La storia – Maria nasce a Montefranco il 20 dicembre 1931. Ancora bambina, lascia il suo paese per trasferirsi con i genitori, in Francia.  Suo padre cerca di dare una vita migliore a lei e sua alla famiglia. Passano gli anni e Maria continua a portare nel cuore Montefranco e la sua comunità. Finché, insieme alla sua famiglia, decide di tornare in Umbria.

La famiglia Moroni sceglie di vivere a Giano. Ma Maria ogni volta che può, torna a Montefranco.  E vuole lasciare un ricordo, donare a tutta la comunità un oggetto a cui tiene molto.  Un orologio a pendolo che sarà sistemato in municipio e che resterà lì a ricordare l’amore di Maria per il suo paese.  Ma la sua storia era stata dimenticata finché Antonella l’ha di nuovo raccontata a tutti noi. In questi giorni è stata sistemata una targa in ceramica sulla cassa dell’orologio a ricordare l’amore di Maria per Montefranco e le sofferenze di chi è costretto a lasciare il suo paese per cercare una vita migliore lontano dalla terra natia”.

La stessa Antonella commenta: “Una bellissima storia che fa riflettere. Sono molte le persone che si trovano in  paesi che non sono i propri e che sicuramente non vorrebbero andar via dalla propria terra d’origine ma sono costrette a farlo per garantire condizioni di vita dignitose alla propria famiglia”.

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