TRENT’ANNI DA MANI PULITE

di Pierluigi Castellani

Sono trascorsi trenta anni da quella stagione giudiziaria, denominata “mani pulite”, che ha coinvolto politica ed apparati dello stato e che ha visto il protagonismo di quel gruppo di p.m. di cui facevano parte Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e Francesco Greco. Il 17 febbraio del 1992, infatti, fu arrestato Mario Chiesa, collettore di tangenti legato all’ambiente socialista . E’ da questo fatto che prese avvio l’inchiesta giudiziaria più famosa del secolo scorso. Secondo la ricostruzione di Luigi Ferrarella per il Il Corriere della Sera del 15 febbraio furono 2.565 gli indagati di cui 1.408 i condannati. La pena superiore di 5 anni e 6 mesi fu inflitta ad un dirigente Anas. La vulgata più diffusa fa risalire a quella inchiesta la fine della prima repubblica anche se, a ben vedere, furono altre le cause che decretarono la fine di quei partiti. L’abbattimento del muro di Berlino, la fine delle ideologie sulle quali si era retto l’equilibrio della guerra fredda, hanno fatto venir meno le ragioni che animavano la politica incarnata dalla Dc, dal Pci e dal Psi. Anzi c’è chi fa risalire la fine della prima repubblica ad un decennio prima, all’assassinio di Aldo Moro. E’ certo che il coinvolgimento dei politici, anche di primo livello, ha contribuito a far venire meno l’interesse dei cittadini per i partiti in generale, ma forse l’inchiesta di “mani pulite” ha solo accelerato quella fine che era già nelle cose. A distanza di questi trenta anni ci si chiede se l’Italia sia veramente cambiata e se il paese sia migliore rispetto a quel passato. Credo che trattare un bilancio di questo tipo in poche righe non sia facile . Qualcosa è però evidente: la politica e i partiti dispongono di meno soldi ora che è venuto anche a mancare il finanziamento pubblico, tranne quello del 2 per mille. Ma i partiti sono veramente migliori di quelli di allora, più attrezzati a selezionare la classe dirigente, più attenti nel perseguire il bene comune ? A questa domanda viene da rispondere di no, perché anche nei difficili anni novanta le forze politiche avevano un legame più forte con il territorio e con i cittadini; basti pensare al crollo degli iscritti ai partiti che c’è stato in questi ultimi anni. C’è poi da constatare come si sia accorciata la longevità dei partiti per lo più nati intorno ad un leader improvvisamente esploso sulla scena politica. Basta ricordare l’Italia dei valori di Di Pietro, l’Italia civica di Mario Monti ed altre sigle minori che hanno avuto una vita breve. Soprattutto è l’onda del populismo anti casta ed anti politica che ha alimentato questi partiti che ora però si trovano in difficoltà come il Movimento 5Stelle, oppure subiscono alti e bassi per la grande mobilità dell’elettorato. Questo è il frutto della fine delle ideologie. Se una forza politica non è ben ancorata ad una cultura capace di alimentare un credibile progetto politico la sua vita rimane stentata e destinata a subire le imprevedibili fluttuazioni dell’elettorato. Rimane da interrogarci se la società dopo questi trenta anni sia migliore di quella di prima. Per dare un risposta a questa domanda occorre superare quell’ambigua e non veritiera considerazione secondo la quale è la politica corrotta e non già la società. Non c’è vera dicotomia tra politica e società; in ogni caso la politica rispecchia la società che la esprime. Pur tuttavia si può oggi azzardare la considerazione che gli episodi di corruzione venuti alla luce in questi anni sembrano essere più diffusi nella società che nella politica. Quindi “mani pulite” sarebbe servita a dare una positiva scossa alla politica ed a farla riflettere sul ruolo di guida che dovrebbe esercitare sulla società. Nella società italiana permangono infatti vuoti di senso civico, di quella dedizione al bene comune che dovrebbe invece avvicinare di più i cittadini alla responsabilità della cosa pubblica. Non si possono concludere queste brevi note senza accennare come questi anni abbiano notevolmente cambiato la percezione che l’opinione pubblica ha del ruolo dei magistrati, prima osannati ed ora non più nella considerazione di cui godevano all’inizio dei processi di “mani pulite”. L’opinione pubblica è sempre volubile e sempre in cerca di nuove verità a cui aggrapparsi tanto che ora c’è minore interesse per la gogna mediatica cui sono stati sottoposti i politici di allora incappati in qualche indagine. Ora sembra esserci attenzione anche al problema di come assicurare un corretto rapporto  tra magistratura e politica. Quest’ultima constatazione rimane tutt’oggi come un pesante interrogativo nella politica italiana.