UN PARTITO IN MEZZO AL GUADO

di Pierluigi Castellani

C’è un affollato dibattito intorno al futuro del PD, un partito uscito mal concio dal voto del 25 settembre ed ora insidiato, secondo i sondaggi, dal movimento dei 5Stelle di Giuseppe Conte, che non fa mistero di voler assorbire l’elettorato di sinistra disorientato e deluso. Dall’altra parte c’è il duo Calenda Renzi intenzionato ad attrarre l’elettorato moderato di centro. Assediato quindi da sinistra e da destra il partito di Enrico Letta cerca di ritrovare una propria identità e di ricreare quell’interesse che intorno a Prodi e Veltroni aveva destato nella società italiana. Ma il percorso ideato per celebrare un congresso rifondativo appare sempre più accidentato e rischia di essere paralizzato dalle divisioni interne tra chi vorrebbe riannodare il legame con i 5Stelle e chi invece guarda favorevolmente all’ipotesi di una collaborazione con il Terzo polo. In più nell’imminenza del voto per le regionali in Lombardia e nel Lazio il veto posto da Conte per una riedizione del campo largo sta mettendo in crisi tutto il centrosinistra, che si ritrova nelle tre opposizioni al governo della Meloni senza la possibilità di costruire un’alternativa credibile e vincente al governo di destra-centro uscito vincente dalle elezioni. Questa situazione crea un vero smarrimento in quella opinione pubblica, che non si ritrova rappresentata dalla maggioranza ora la governo e che stando ai numeri sarebbe la maggioranza del paese. Quindi quando Letta si lamenta che le altre due opposizioni, quella dei 5Stelle e quella del Terzo polo, passano il proprio tempo a fare l’opposizione più al Pd che al governo Meloni, coglie in gran parte nel segno. Ma dal canto suo Enrico Letta non sembra aver capito fino il fondo l’urgenza di presentare all’opinione pubblica il volto nuovo del Pd. Troppo lungo è il tempo da qui al 12 marzo. Prevede un percorso di vari appuntamenti per stimolare idee e riscoperta di valori, ma così rischia invece di condurre all’appuntamento delle primarie un partito stanco e demotivato. E’ evidente, anche per l’avvicinarsi del voto per le regionali di due grandi regioni come la Lombardia e il Lazio, che c’è una drammaticità nell’urgenza di presentare al popolo del centrosinistra un Pd capace di aggregare ed essere inclusivo, anche per sottrarre l’attenzione di questo popolo all’ambigua fascinazione di chi cavalca il populismo e di chi è tentato di affidarsi a forze leaderistiche e personali come Azione e Iv. Il processo per la scelta della nuova segreteria del Pd doveva essere più rapido e non già per sottrarre il tempo necessario al formarsi di idee e proposte, ma perché queste a volte nascono meglio nel crogiuolo della drammaticità in cui versa il popolo del centrosinistra battuto e disorientato e che in ogni caso ha bisogno di ritrovarsi intorno all’unico vero partito strutturato e delineato secondo i principi contenuti nell’art. 49 della Costituzione. Nel frattempo fioriscono ipotesi le più varie. C’è chi vorrebbe che il Pd si sciogliesse per creare una cosa nuova e chi lo vorrebbe riportare ad essere una forza dichiaratamente di sinistra, una cosa rossa tanto per intenderci, e chi vede inevitabile invece una scissione, pensando che l’elettorato rimanga a guardare senza un chiaro riferimento. Sembra strano che pochi pensano che forse il Pd non è stata un’illusione e che per tornare forza credibile nel paese debba invece ritornare alle origini, a quel partito di centrosinistra, inclusivo e plurale, che era stato raffigurato nella proposta di Prodi e Parisi e delineato poi nel discorso del Lingotto di Veltroni. A volte la storia può ripetersi e forse  progettare anche il futuro.