‘Ndrangheta in Umbria, i particolari dell’azienda cartiera di Perugia: fatture false per ripulire i soldi del clan

L’inchiesta della Dda di Brescia, che ha portato alla luce un giro di fatture false da oltre venti milioni di euro, con i proventi riciclati per finanziare le attività del clan della ‘Ndrangheta della famiglia Arena di Isola di Capo Rizzuto, conferma la presenza mafiosa in Umbria. La nostra regione viene anche oggi considerata da molti un’isola felice ma in realtà è esposta come la gran parte delle regioni del centro nord. Del resto negli ultimi anni diverse sono state le operazioni contro cellule di ‘ndrangheta portate a termine delle forze dell’ordine. Così come è noto che oggi la maggiore attività della ‘Ndrangheta è quella di lavare e riciclare enormi quantità di denaro contante disponibile. Si stima che la ‘ndrangheta fatturi ogni anno circa 43 miliardi di euro, di cui almeno il 75% viene reinvestito nell’economia legale. Quelli che scorrono sono veri e propri fiumi d’oro: la mafia calabrese li investe nell’edilizia, nel settore immobiliare, nel terziario, nei rifiuti ma anche nel commercio e turismo. E lo fa grazie a una miriade di alleanze con commercialisti, broker, bancari e funzionari pubblici. La corruzione spesso rappresenta la vera ossatura del potere mafioso. Tutto ciò ha trovato una perfetta conferma nell’indagine della Dda di Brescia che coinvolge pienamente l’Umbria. E’ bene precisare che l’Umbria non viene semplicemente sfiorata dall’indagine bresciana: Perugia – secondo gli inquirenti – è sede di una delle aziende cartiere intestate a “prestanome o a imprenditori compiacenti”. A parere dei magistrati della Dda di Brescia le sedi messe in piedi dalla cosca crotonese erano in tre regioni: Lombardia, Umbria e Calabria. E’ proprio questa parte delle indagini che deve far riflettere la comunità umbra. Rosario Scumaci, 38enne, catanzarese ma residente a Perugia, avrebbe – sempre secondo la ricostruzione della Direzione distrettuale di Brescia – trasformato la sua ditta individuale in una cartiera per emettere fatture false per ripulire i soldi del clan. Insieme a lui è stato indagato a piede libero un altro catanzarese residente sempre a Perugia, 35 anni, socio di Scumaci che invece è stato arrestato e portato a Capanne. L’azienda costituita porta il nome “Edil Italy” ed è un’ impresa che si occupa di edilizia, con un capitale sociale di 900 euro che in pochi mesi, sostiene il Gip del Tribunale di Brescia, aveva già prodotto diverse fatture false per qualche decina di migliaia di euro. Gli indagati naturalmente avranno la possibilità di dire la loro ma l’impianto accusatorio conferma l’agire della mafia calabrese: investire in regioni del centro-nord per lavare e riciclare denaro sporco. Un rischio che l’Umbria non può correre.