Processo Shalabayeva, la Procura generale di Perugia ricorre in Cassazione: sentenza “appare viziata”

La Procura generale di Perugia ha impugnato in Cassazione la sentenza della Corte d’appello che il 9 giugno scorso ha assolto, perché il fatto non sussiste, tutti gli imputati accusati di sequestro di persona in relazione all’espulsione di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, insieme alla figlia minore. Tra loro Renato Cortese e Maurizio Improta. La Procura generale “contesta la decisione assolutoria in quanto la sentenza appare viziata” per avere dichiarato innocenti gli imputati, “senza procedere al riascolto di testimoni di accusa, ritenuti tutti inattendibili”. La decisione di impugnare la sentenza in Cassazione è stata annunciata dalla stessa Procura generale di Perugia, guidata da Sergio Sottani, attraverso un comunicato ufficiale. Il provvedimento riguarda la sentenza per la quale le motivazioni sono state depositate lo scorso 15 marzo e che aveva riformato la precedente decisione di condannare gli imputati adottata dal Tribunale di Perugia il 14 ottobre 2020. La decisione della Corte d’appello, “presa in difformità delle richieste formulate dall’accusa in udienza – sottolinea la Procura generale – ha escluso che nella vicenda siano stati commessi reati da parte dei dirigenti e funzionari della Questura di Roma”. Nelle 44 pagine dell’atto di impugnazione, l’Ufficio spiega che non avendo riascoltato i testimoni di accusa, “ritenuti tutti inattendibili” la Corte d’appello perugina “è venuta meno all’obbligo di fornire una motivazione rafforzata, a sostegno della sua decisione assolutoria. Obbligo che non può certo ritenersi soddisfatto – sottolinea ancora la Procura generale – con il ricorso reiterato, così come fatto nella sentenza della Corte d’appello, a domande retoriche, non sorrette dal rigoroso riscontro con le risultanze processuali”. Secondo la Procura generale, inoltre, il giudice di secondo grado “con la sua lunga ed articolata motivazione demolisce la sentenza di primo grado, con l’uso, a volte, di espressioni che vorrebbero forse essere ironiche ma che rischiano di apparire inutilmente sarcastiche ed in alcuni casi possono essere percepite come manifestazioni di dileggio nei confronti dell’accusa e del giudizio di primo grado, ma non fornisce plausibili letture alternative ai tanti, troppi abusi consumati ai danni di Alma Shalabayeva e della figlia minorenne”. “Abusi reiterati – si sostiene ancora nella nota firmata da Sottani – che nella sentenza di appello vengono qualificati al massimo come violazioni di prassi, ma che sul piano oggettivo e soggettivo integrano, a parere di questa Procura generale, il delitto di sequestro di persona contestato ai cinque imputati, nei cui confronti è stato presentato ricorso per Cassazione”.