Sanità, l’Umbria tra rischi Covid e incognite del nuovo piano sanitario: quando Carletti propose una sola neurochirurgia ma la Regione chiude i distretti

I dati del contagio, in aumento da due mesi, potrebbero mettere a rischio la zona bianca di molte regioni. Così, dopo il Friuli Venezia Giulia, passata in giallo già all’inizio di questa settimana, toccherà alla Provincia autonoma di Bolzano da lunedì 6 dicembre. E prima di Natale, si prospetta che la prima fascia di rischio colori una parte ben più larga della cartina. L’Umbria, per ora, ha l’incidenza tra le più basse anche se i ricoveri sono saliti a 61 e i pazienti in terapia intensiva 11. Per quanto riguarda i reparti ordinari, il livello di allerta scatta quando si raggiunge il 15 per cento dei posti letto. Gli Ospedali dell’Umbria, con i dati di oggi, non sono ancora sotto pressione ma il numero dei pazienti ricoverati è sicuramente aumentato a vista d’occhio. La permanenza in zona bianca resta una sfida non semplice anche perché la circolazione del virus c’è e difficilmente si arresterà in pieno inverno. Di qui l’esortazione corale a tenere comportamenti prudenti.  La tenuta della rete ospedaliera della nostra regione dipenderà però molto dalle vaccinazioni e anche dalla rapidità di somministrazione delle terze dosi. La lezione della pandemia impone una medicina rapida, più vicina alla gente. La riforma sanitaria appena adottata dalla giunta regionale dell’Umbria, invece, prevede la chiusura di ben 7 distretti sanitari, passando da 12 a 5. Eppure il Covid ha messo a nudo diverse debolezze, soprattutto sul territorio e sulla cura di prossimità. Quindi, piuttosto che puntare sul territorio e migliorare proprio lì, la giunta regionale presenta un piano che non tocca nessuna delle criticità che stanno mandando in tilt il servizio sanitario regionale. Basta chiedere ai medici del Santa Maria della Misericordia di Perugia per capire la drammatica situazione delle strutture sanitarie umbre e il livello di disorganizzazione raggiunto. Come l’appello disperato, quasi una supplica, dei medici di medicina generale. ” Una scelta in piena contraddizione con quanto abbiamo visto in questi mesi di emergenza sanitari”, ha denunciato il segretario della Cgil Vincenzo Sgalla. ” Un taglio così non è una risposta ai bisogni”, ha aggiunto Angelo Manzotti segretario della Cisl. Gli stessi medici considerano un errore la chiusura dei distretti con il Trasimeno – solo per fare un esempio –  accorpato con Città di Castello. ” Chi ha disegnato i cinque distretti non conosce nemmeno la geografia”, è il commento ironico di molti. Un piano, quindi, incapace di cambiare il modo di erogare i servizi e andare incontro ai singoli cittadini, prendendosi cura individualmente della loro salute, ridisegnando l’attuale modello di fruizione del servizio socio-sanitario in una nuova e integrata partecipazione tra servizi di prevenzione, cura e ricerca. Incapace di mettere in piedi un sistema integrato ed efficiente di medicina di prossimità che veda come presupposto la centralità del paziente. La lezione della pandemia è stata capita anche dalla Lombardia, regione che ha pagato a caro prezzo le scelte sbagliate (investimenti sbilanciati a favore del privato) fatte negli anni, che ha deciso di assegnare un ruolo più forte alla rete del territorio, valorizzando i distretti e le responsabilità dei medici di base. Un piano, quello adottato dalla giunta dell’Umbria, che non rassomiglia nemmeno ad un diario delle buone intenzioni, con tante parole scritte che dicono tutto e niente. Qualche giorno dopo l’insediamento della nuova giunta regionale, sulla stampa locale si accese un dibattito sui doppioni di alcuni servizi ospedalieri. Ad “incendiare” la discussione fu il bravissimo neurochirurgo Sandro Carletti che da poco aveva lasciato l’Umbria, una scelta personale e non solo. L’allievo del professor Maira sosteneva la necessità di andare verso una unica neurochirurgia regionale, ragionamento che valeva anche per la cardiochirurgia.  Le argomentazioni erano assai semplici: neurochirurgia e cardiochirurgia di Perugia e Terni erano (e restano) largamente sotto gli standard previsti dalla società scientifica e dagli indirizzi del ministero della Salute. In poche parole, numeri troppo bassi per tenere in vita quattro strutture complesse di alta specialità in una regione di appena 800 mila abitanti, quando le disposizioni nazionali prevedono una struttura ogni milione di abitanti. Per non parlare di una regola che in sanità fa la differenza: casistica, cioè lo studio dei casi di qualsiasi malattia e che mira ad offrire una migliore comprensione di un determinato problema sanitario e a migliorare, di conseguenza, le decisioni cliniche. Parole sacrosante quelle del neurochirurgo che trovarono immediatamente il plauso dell’assessore regionale alla Salute Luca Coletto. ” Ha ragione Carletti – disse l’assessore Coletto – la legge va rispettata, l’Ospedale sotto casa non è possibile”. Sono passati quasi due anni ma nulla è successo. Anzi, nel nuovo piano sanitario appena adottato dalla giunta regionale non c’è traccia di tutto questo. In un momento storico come questo, con le risorse che arriveranno con il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e la necessità di garantire l’equità territoriale della sanità, non serve all’Umbria un piano pieno di incognite ma scelte precise per garantire ai cittadini dell’Umbria le migliori pratiche per la tutela della salute.