Perugia, premio letterario “Io c’ero… il tempo sospeso”: i nomi dei vincitori

L’Azienda Ospedaliera di Perugia nel 2021 ha promosso il Premio letterario “Io c’ero… il tempo sospeso”. Racconti di vita al tempo della pandemia dall’ospedale di Perugia, rivolto a coloro che hanno vissuto l’esperienza del Covid19 nella struttura ospedaliera: pazienti, caregiver, familiari e personale.

Sono stati 54 i racconti pervenuti da agosto ad ottobre. Di questi, la giuria esterna ne ha selezionati sei, tre per ciascuna sezione (dipendenti e pazienti dell’Azienda Ospedaliera), valutando non solo l’attinenza al tema, ma l’originalità e la creatività del taglio narrativo e la capacità di comunicare un’emozione.

Le opere pervenute sono state valutate da una Commissione di esperti composta da Antonella Pinna (Regione Umbria), dirigente del Servizio musei, archivi e biblioteche istruzione e formazione, Roberta Migliarini (Comune di Perugia), dirigente dell’Area dei servizi alla persona, Stefano Giovannuzzi (Università degli Studi di Perugia), professore dipartimento di Lettere-Lingue, Letterature e Civiltà antiche e moderne, Luca Ginetto (Rai) giornalista, caporedattore Rai Tgr Umbria, Antonio Onnis (SIMeN), medico referente Società italiana medicina narrativa e dagli editori Jean Luc Bertoni (Bertoni editori) e Fabio Versiglioni (Futura libri).I responsabili scientifici aziendali del premio sono la dottoressa Antonietta Mesoraca, medico oncologo della direzione medica, e la dottoressa Maristella Mancino, sociologa e assistente sociale. Il progetto è stato seguito dal servizio Formazione e Qualità diretto dalla dottoressa Donatella Bologni.

 

Per la sezione dipendenti, si è classificato al primo posto il racconto “Il Lumino custode” di Luca Floridi, tecnico obitorio. Con originalità e poesia ha dato voce agli oggetti del corredo funebre:c’è il Veterano, il carrello che aveva sostenuto, negli anni, più di 300 feretri, il giglio, il Cero Elettrico e il giovane Lumino. Sullo sfondo, la pandemia, la solitudine e il silenzio.

“La fiamma elettrica del lumino sembrava un po’ affievolirsi, come se seguisse la tristezza provata dai familiari di Giulio in questi giorni”.

Il secondo classificato è il racconto “Ale sveglia, è ora di andare a scuola” di Ilenia Giovanna Rotella, operatore sociosanitario. Ha narrato i mesi più bui della pandemia attraverso gli occhi di un bambino che si è appena svegliato dopo aver fatto un brutto sogno. Un dialogo tenero e intenso tra madre e figlio.

“Ogni giorno tutti quelli che non potevano uscire andavano sui balconi, sulle terrazze, alle finestre, e gridavano, cantavano, applaudivano. Anche io uscivo e ti applaudivo, perché grazie a te c’era una speranza, piccola ma ci stava”.

Terzo posto al racconto “L’unicorno sul soffitto” di Stefano Cristallini, medico anestesista rianimatore che, con una forza dirompente, ha messo nero su bianco l’angoscia e il dolore nella strenua lotta al Covid19.

“Operatori, pazienti e familiari, uniti nella stessa trincea. Per me questo è stato il Covid”.

 

Per la sezione pazienti, il primo classificato è “Testa o croce” di Cinzia Corneli. Con una narrazione delicata racconta la perdita del padre, la forza con cui ha lottato e il dolore lacerante del distacco.

È come se la tua vita fosse acqua tra le mie mani che tremano, gocce che senza sorgente a poco a poco smarrisco”.

 

Al secondo posto, “Cento giorni da paziente Covid-19, la mia ultima vittoria” di Francesco Zonaria. Nel suo racconto c’è tutta la forza e l’amore della sua famiglia nei difficili giorni passati in ospedale.

“Ringrazierò per sempre chi non si è mai stancato di tenere accesa la fiammella della comunicazione con il mio corpo martoriato e con il mio cuore affranto”.

 

Terzo classificato, “La barba bianca” di Michele Nucci. Toccante racconto della perdita del padre, nei mesi più bui della pandemia, quandole file delle ambulanze, lo sforzo dei sanitari e il silenzio della sala d’attesa del pronto soccorso erano lì a ricordarci la drammatica realtà.“Non ci siamo potuti toccare, abbracciare, stringere, accarezzarci. Niente.Solo piangere da soli. Tutti a distanza. Imprigionati in noi stessi, anche neldolore”.