Tagli sui trasferimenti ai Comuni, ecco la sforbiciata su Perugia e Terni

Un taglio preciso preciso a metà. A tanto ammonta la sforbiciata su Perugia dei vecchi trasferimenti statali. Il capoluogo umbro dal 2010 al 2014 ha visto una riduzione delle risorse pari a 24 milioni di euro. Meglio è andata a Terni dove il taglio è stato del 37 per cento pari a 13milioni e 100 mila euro.

Una cura dimagrante che è cominciata con la manovra Tremonti nel 2010 fino al decreto Irpef di Renzi passando per la prima spending review realizzata dal Governo Monti.

Questo pacchetto di misure ha cancellato complessivamente il 43% di vecchi trasferimenti su cui i sindaci potevano contare 4 anni fa. I tagli non sono stati omogenei. Ci sono, infatti, Comuni che hanno “pagato” di più gli effetti di queste manovre. A Lodi, Brescia e Lecco, per esempio, il costo cumulato delle manovre ha raggiunto il massimo, arrivando a trattenere anche più del 70% delle somme che lo Stato assicurava nel 2010, mentre a Caserta, Messina e Cosenza il conto oscilla tra il 19 e il 30%.

In fondo alla classifica, con un taglio di appena il 13%, pari a 6 milioni e 700mila euro, si colloca L’Aquila grazie alle esenzioni parziali ottenute dopo il terremoto.

Tra le grandi città a pagare di più sono Venezia, dove il taglio è pari al 66% dei trasferimenti, Milano (63%), Roma a metà classifica (48%). Palermo e Napoli si collocano in posizioni di bassa classifica, rispettivamente al 96 e 97esimo posto, con una sforbiciata del 33 e 31% dei trasferimenti.

In questo panorama Perugia si piazza al 40esimo posto con una riduzione del 50% mentre Terni quasi in fondo alla classifica (al 90esimo posto su 100 capoluoghi).

Ma la cura dimagrante non è finita. All’orizzonte si profila una nuova spending review rispetto alla quale ci sono da capire quali criteri scenderanno in campo per dividere le richieste tra i sindaci. I parametri utilizzati fino ad oggi si sono rivelati incapaci di distinguere spese da sprechi. C’è da dire che in un quadro frastagliato come quello italiano, spesso una mancata spesa non è indice di efficienza ma può essere semplicemente conseguenza del fatto che un servizio non c’è oppure funziona a scartamento ridotto. Lo strumento individuato per superare il problema è quello dei fabbisogni standard che dovrebbero misurare il prezzo giusto delle attività comunali e su quello distribuire le risorse disponibili. Gli studi in questo senso sono già stati avviati. La Sose, la società degli studi di settore, ha lavorato con l’Istat e l’Ifel, l’istituto dell’Anci per la finanza locale, per individuare le spese in eccesso dei Comuni ma la strada per l’utilizzo effettivo di questi dati è ancora lunga da percorrere.

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