La scuola di nuovo in piazza

di Pierluigi Castellani

Lo sciopero generale della scuola del 20 maggio ha riproposto all’attenzione pubblica il tema dell’istruzione dopo i contrasti suscitati dalla legge “La buona scuola”, che pur ha provveduto alla più massiccia immissione in ruolo di precari degli ultimi anni. Ora i docenti lamentano che dal 2009 non si sia rinnovato il loro contratto e certamente questa è una plausibile motivazione della loro agitazione, che del resto li accomuna a tutti gli altri statali. Ma insieme riemergono proteste, non ancora sopite, per alcune parti de “La buona scuola” , che non hanno registrato il consenso delle varie sigle sindacali, che organizzano il mondo degli insegnanti. Una in particolare sta riemergendo in questi giorni, e riguarda i criteri di valutazione dei docenti al fine dell’assegnazione del bonus previsto dalla legge. Infatti prima della fine dell’anno scolastico gli istituti scolastici dovrebbero approvare i criteri in base ai quali i capi di istituto provvederanno all’assegnazione del bonus, che dovrebbe avvenire entro il prossimo 31 agosto. Il Ministero ha reso noto che solo poco più del 30% delle scuole avrebbe adempiuto a quest’obbligo. In ogni caso riappare, ancora una volta, la resistenza che si riscontra nei docenti ad accedere al principio della valutazione come è per tutto il resto del pubblico impiego. Certamente valutare è comunque difficile soprattutto per chi fa educazione, ma è pur vero che nella comune percezione c’è questa necessità anche per stimolare il mondo della scuola ad accettare quei cambiamenti e miglioramenti ,che la realtà degli alunni e del mondo di oggi impone. Lo sforzo che ha fatto il governo Renzi,invertendo la prassi dei precedenti governi che hanno sempre tagliato i fondi per la scuola, ed il massiccio impegno per eliminare il precariato va valutato giustamente per quello che è, cioè una nuova attenzione per il sistema educativo e formativo, che è la necessaria scommessa per il futuro del nostro paese. Certamente qualche contrasto rimarrà, ma non è possibile valutare negativamente ,ad esempio, l’impegno per l’immissione in ruolo, tramite procedura concorsuale, di altri 60.000 insegnanti. Permane una comprensibile ritrosia per doversi sottoporre ad una procedura concorsuale, che non solo è espressamente prevista dalla costituzione, ma che è anche l’unico modo per immettere nel mondo nella scuola energie fresche e preparate, anche per avviare quel ricambio generazionale che pure altri mondi reclamano. Per questo è bene che tutti si interroghino sulla sostanza e sul merito dei provvedimenti e li valutino per quello che sono: un tentativo di ammodernamento ed aggiornamento di cui tutto il sistema Italia ha bisogno. Infatti è apparso strano ,che tra i tanti provvedimenti annunciati in questi giorni dal governo, si sia parlato solo marginalmente del progetto di tenere aperte le scuole anche nei giorni di vacanza. Per ora l’intervento è previsto solo nelle grandi città con evidenti problemi di devianza ed abbandono giovanile, ma questo della “scuola aperta” può diventare una proposta di grande rilevanza sociale. E’ da tempo del resto che si evidenzia la non piena utilizzazione delle infrastrutture scolastiche, che sono un grande e prezioso patrimonio pubblico. Togliere dalla strada i giovani per trattenerli a scuola ad esercitarsi nello sport, nel teatro , in attività che catturino i loro interessi significa gettare le premesse per una grande opera di recupero sociale di cui le periferie, e non solo, delle nostre città hanno tanto bisogno. I ragazzi lasciati soli sulla strada quando le attività scolastiche sono chiuse possono essere pericolosamente catturati dalla criminalità e da ogni possibile devianza. Per questo quando la scuola scende in piazza come in questi giorni sia un’occasione non soltanto per recriminazioni, in alcuni casi giuste, nei confronti del governo, ma anche per disegnare nuovi scenari in cui la scuola può svolgere la sua funzione educatrice e di socializzazione anche al là dei suoi compiti consueti, che forse non sono più sufficienti a meritarle quel necessario prestigio, che più volte reclama.

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