Perché Juncker sbaglia

di Pierluigi Castellani 

La risposta stizzita di Jean-Claude Juncker alle sollecitazioni di Matteo Renzi per una diversa politica europea rivelano come il Presidente della Commissione non sia pienamente consapevole dei gravi rischi, che sta correndo la costruzione europea. Il suo “me ne frego” non è soltanto uno spiacevole modo di rapportarsi con un paese, come l’Italia, che è tra i fondatori dell’Europa, ma è anche il sintomo di una difficoltà del massimo esponente del governo europeo a comprendere in quale bivio si trovi oggi l’Europa. Il populismo che avanza, e non soltanto in Italia, l’ ascesa di forze euroscettiche in alcuni stati e la brexit che si sta consumando in Inghilterra stanno a segnalare la grave crisi che sta attraversando il continente europeo. L’affiorare con forza del nazionalismo in molti paesi sta riportando indietro , e di molto, le lancette della storia. Quella che doveva essere una storia di integrazione e di accrescimento delle politiche comuni in alcuni settori vitali per il continente quali quella fiscale, economica, di welfare, di sicurezza e di difesa comune, sta diventando invece la storia di creazione di nuovi muri e barriere e di rinazionalizzazione di queste politiche. Le ragioni dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti compresi quelli di Juncker. L’Europa viene percepita non come una istituzione amica, ma come quella che impone politiche di semplice austerity, che sa recitare sempre dei no e che soprattutto non si fa carico di sollecitare una politica di crescita, che faccia uscire tutti i paesi europei definitivamente dalla crisi iniziata nel 2008. Basta osservare quanto è avvenuto negli stessi anni negli Stati Uniti di Obama. Obama non ha salvato solo le banche, ma con una politica di investimenti pubblici e privati ha risollevato il settore automobilistico, ha creato posti di lavoro e cercato di ridurre le diseguaglianze, ha iniziato ad attuare una concreta politica ambientale. La sua non è stata una politica di austerity ma di espansione, che consente ad Obama di poter dire, dopo i suoi otto anni di presidenza, di lasciare l’America meglio di come l’aveva trovata. L’Europa invece arranca, ha una ripresa debole e vive il riemergere di antichi egoismi nazionali, che tra l’altro non consentono di affrontare con la dovuta solidarietà il fenomeno delle migrazioni. Di fronte a questo scenario Juncker vorrebbe forse un’Italia più docile, più ossequiosa quando Bruxelles non riesce neppure a riconoscere appieno gli sforzi che il nostro paese sta affrontando per la ricostruzione nelle zone terremotate e per l’accoglienza ai profughi, che sbarcano sulle nostre coste, quando altri paesi si rifiutano di attuare quella politica di ricollocazione dei migranti, che pure era stata inizialmente decisa. Perchè Juncker non si rivolge a questi paesi con la determinazione con cui si rivolge all’Italia ? Perchè, sempre sul tema dei migranti, non si dimostra ugualmente energico come invece ha fatto per imporre a tutta l’Europa l’accordo sui migranti con la Turchia, che a guardar bene interessa soprattutto alla Germania ed alla Merkel in difficoltà per le prossime elezioni ? Per questo Juncker ha sbagliato ad usare questi inusuali toni con il nostro paese . La disputa su qualche 0 virgola di percentuale sul Pil in più o in meno non fa bene a nessuno e soprattutto non lo fa ad un’Europa in affanno di fronte alle sfide della mondializzazione del terzo millennio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.