Siamo in guerra?

di Pierluigi Castellani

In Libia, esattamente nella città di Sirte, si sta svolgendo un forte e decisivo attacco delle truppe libiche, sostenute dall’intervenrto aereo statunitense e dall’intelligence inglese, nei confronti dei miliziani del cosiddetto stato islamico. Infatti Sirte è la roccaforte dell’Isis in terra libica e quindi la cacciata dei miliziani islamici da quella città può rappresentare la definitiva stabilizzazione della Libia e l’affermazione definitiva del governo di unità nazionale voluto e sostenuto dall’Onu. E’ anche indubbia l’importanza per il nostro paese della stabilizzazione di quell’area mediterranea. Dalla Libia infatti partono i barconi dei migranti verso le coste siciliane e in Libia ci sono forti interessi dell’Eni, che estrae petrolio dai pozzi libici e gas naturale ,che poi prende il via per l’Italia rafforzando le nostre riserve energetiche. Quindi non dovrebbe destare allarme se anche il nostro paese è impegnato in quella zona con istruttori militari per consentire alle forze libiche di mettere in sicurezza il territorio sottratto all’Isis con l’opera di sminamento. Eppure in parlamento, da parte di tutte le opposizioni ,anche di quelle che appoggiarono l’intervento francese contro Gheddafi, si è sollevata una polemica perchè l’Italia sarebbe entrata in guerra senza approvazione da parte del parlamento, di quel parlamento, che con voto quasi unanime , approvando il proseguimento delle missioni militari all’estero, approvò anche (art. 7 bis) la possibilità di disporre delle nostre forze speciali per operazioni di intelligence. Ma al di là della correttezza dell’operato del governo che avrebbe inviato nostri militari, non per combattere, ma per istruire le forze libiche nel delicato compito di sminamentro, il vero quesito che si pone a tutte le forze politche è sul come sia possibile per il nostro paese salvaguardare i nostri interessi ed i nostri connazionali che operano all’estero, senza una qualsiasi forma di intervento delle nostre forze speciali e senza dover dipendere sempre dall’intervento altrui, delle forze americane o di altri paesi,per poi puntualmente criticare quegli stessi paesi di voler assumere il ruolo di gendarmi del mondo. Ancora una volta appare nella sua evidenza la discrazia tra le volontà dichiarate e la realtà. Una realtà che purtroppo è immersa, come ha dovuto riconoscere anche il Papa, nella terza guerra mondiale a pezzi. Ecco allora che alla domanda se siamo in guerra la risposta non può che essere articolata. L’Italia in effetti non è in guerra perchè non solo non l’ha dichiarata a nessun paese straniero, ma perchè è solamente impegnata in un opera di difesa dei nostri interessi e dei nostri connazionali che operano all’estero e quindi necessariamente si trova, insieme a tutti i paesi ocidentali, a dover far fronte all’ondata di terrorismo scatenata dal fondamentalismo del cosiddetto stato islamico. Quindi prendere atto di una realtà non significa abbandonare la nostra tradizionale linea di rifiuto della guerra e di scelta diplomatica per risolvere i conflitti internazionali, ma signifca anche dover intervenire per difendere la pace e la democrazia nel mondo. Sta qui tutto il dilemma che sta attraversando questi primi anni del nuovo millennio. Essere costretti a lavorare tenacemente per la pace senza rinunciare ad un’opera di difesa a cui il terrorismo ci ha oramai costretti. Sta qui anche l’intelligenza di un popolo e la forza della politica, quella con la P maiuscola, quella che non abdica ai propri doveri anche se ciò è difficile e doloroso, ed anche se può far perdere qualche immediato consenso. Non si fa politica solo per l’oggi, ma anche per il domani, perchè le nuove generazioni possano trovare un mondo migliore di come l’hanno trovato le generazioni attuali, quelle che hanno le proprie radici nel secolo passato.

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