Un’infanzia trascorsa sui Sibillini sconvolti dal sisma

Gli esami di terza media avevano assorbito tutte le mie energie in quell’anno scolastico 1968-69. Sembravano una montagna invalicabile, ma come tutte le cose, quei giorni passarono in fretta. Luglio si stava concedendo con tutto l’atteso bagaglio. Il Tour de France con Eddy Merckx, un disco per l’estate e quella “Lisa dagli occhi blu” di Mario Tessuto che mi riportava ai banchi di scuola, alla mia Lisa della sezione B, la voce squillante di Lelio Luttazzi che annunciava la hit Parade. A fine luglio un cugino sarebbe partito per una vacanza a Ussita, sui monti Sibillini. Per me erano luoghi sconosciuti, ma il racconto di Leandro, che vi era stato l’anno precedente, si animava di escursioni sul Monte Vettore e al Bove, camminate nei boschi, e poi le fonti in Val di Panico, i giochi all’aria aperta, e le iniziative dei Salesiani. La decisione fu presa subito. Saremmo partiti insieme e con noi anche Emanuele, il figlio del maresciallo. La notte precedente la partenza non avevamo dormito tanta era l’agitazione per il viaggio in treno, da soli, per la prima volta. Un lungo percorso da Foggia a Loreto su un diretto dove avremmo dovuto fare a gomitate per aggiudicarsi tre posti in uno scompartimento stracarico.  Alla stazione di Loreto c’erano altri ragazzi e a un autobus pronto alla partenza. Una sosta alla sede di via Fratelli Brancondi e poi il viaggio verso Visso, e quindi Ussita. Il viaggio dei salesiani era a un paio di chilometri dal paese. Ci accolsero con pane e cioccolato: la camerata, il salone per gli incontri, la mensa e la grande quercia alla cui ombra si imparavano i canti della tradizione scout e di Marcello Giombini. Quella sera rimanemmo incatenati da un film sotto le stelle. Erano giorni di spensieratezza, dia attività sportiva, di riflessioni. All’improvviso avevamo dimenticato le nostre famiglie e gli amici di sempre. Due settimane passarono in fretta. Una domenica ci vennero a riprendere. A malincuore lasciammo quei luoghi attraversando strade interne dell’Abruzzo e del Molise. Ci fermammo per una sosta a L’Aquila, il tempo di riconoscere tra la folla del mercato Fausto Cigliano, un grande interprete della canzone napoletana, una nostra passione come quella per il maestro Gorni Kramer o per il Quartetto Cetra. Riaprivano le scuole, il 1° ottobre. Tornati a casa il pensiero andava spesso a Ussita, dove tornammo per altri due anni. Fra di noi abbiamo continuato a sentirci con lunghe telefonate rubate ai nostri genitori, a scriverci lettere e firmare cartoline. Conservo ancora quelle di don Monni, di Alvaro che suonava così bene la chitarra, di Cristina e Rosanna, Valerio, Emidio e le foto in bianco e nero o le pagine ciclostilate con cui don Maggi ci parlava dell’adolescenza. Nell’estate del 2015 sono ritornato tra i monti Sibillini. Ussita era ora una rinomata località turistica. Il villaggio dei salesiani all’improvviso sembrava essersi rimpicciolito. Sono entrato lentamente e un filo di commozione mi ha preso mentre andavo via. Quest’inverno ho cercato in tutti i modi di ritornarci. Siamo arrivati a Visso e le macerie ai lati delle strade mi riportavano in mente immagini di situazione dopo un violento bombardamento. Case sventrate o polverizzate, l’esercito che sorvegliava la zona, i controlli. Un pass per arrivarci, concesso dopo tanta insistenza. Ussita, era sconvolta, svuotata, senz’anima. Ci hanno accolto i Vigili del Fuoco. Per strada solo militari, carabinieri e alcuni dipendenti del Comune. La strada verso la casa delle nostre vacanze era sbarrata. Zona rossa. Interdetta. Ho ritrovato don Maggi a Loreto. Mi ha inserito in una mailing list. E così un pezzo si quelle vacanze è ancora qui. Nessuna scossa è riuscita a mandarlo giù. Di Pasquale Guerra (pubblicato su La Stampa)

 

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