Molti di più gli infettati veri, prepararsi a convivere con il virus e ripensare il sistema sanitario

In Umbria, come nel resto del Paese, il tasso di positività, ossia il numero di persone che risulta positivo al tampone,  non è mai stato così alto come in questo periodo. Fatte 100 le persone tamponate, ne sono risultate positive quasi sempre sopra 10. Più il tasso di positività è alto, più sono gli infetti che rischiano di non essere trovati, nonostante l’elevatissimo numero di tamponi. Il motivo è semplice: il sistema di tracciamento è ormai da tempo anche in Umbria fuori controllo, e la gran parte delle infezioni asintomatiche ancora una volta non viene rilevata. Secondo una bellissima analisi che oggi viene sviluppata sul Corriere della Sera dalla brava giornalista Milena Gabanelli, insieme alla collega Simona Ravizza, è verosimile che oggi venga registrata ” solo una frazione compresa tra il 15% e il 30% delle infezioni totali”. Tradotto in numeri: potrebbero esserci tra 8 e 16 milioni di italiani che si sono contagiati tra fine dicembre e la prima metà di gennaio. Questo significa che la malattia Sars-Cov-2 si sta trasformando a semplice influenza ?Assolutamente no, basta vedere quante nuove vittime ci sono state nelle ultime settimane in Umbria. Sono tanti, troppi i decessi che si registrano ogni giorno per poter già parlare di passaggio da pandemia a endemia. Infatti, una malattia viene definita endemica quando si diffonde in modo costante nel tempo senza presentare picchi di frequenza. Quello che è ormai è certo che stiamo andando verso il picco di Omicron e, se non emergeranno nuovi varianti, l’immunizzazione che deriverà dalla sua diffusione e dalla campagna vaccinale ci porterà a una decrescita dell’incidenza  di nuove infezioni. Con l’arrivo della stagione calda la situazione migliorerà ancora ma è improbabile che in autunno la guerra sarà vinta definitivamente. La sanità e gli ospedali devono, quindi, attrezzarsi per nuovi scenari, nei quali poter gestire i pazienti con problemi chirurgici e internistici positivi al virus senza ritardarne diagnosi e terapie e senza rallentare le altre attività. Esattamente l’opposto di quello che avviene oggi in Umbria. Occorre un ripensamento delle nostre strutture sanitarie e una nuova organizzazione dei servizi, scelta che per ora è completamente assente dal nuovo Piano sanitario regionale, da poco pre-adottato dalla giunta regionale dell’Umbria. Ci attende un periodo di convivenza con il virus che potrebbe essere non breve. Per questo sarà fondamentale arrivare ad una gestione dei contatti e dei casi accertati che da un lato metta in sicurezza le persone e contestualmente sia sostenibile socialmente ed economicamente. In questo contesto, la sorveglianza sanitaria e la medicina del lavoro diventeranno sempre più cardinali per garantire lo svolgimento delle attività produttive. Questi due anni dovrebbero aver insegnato ( in Umbria ancora non sembra) che non siamo onnipotenti e non solo non dobbiamo abbassare la guardia,  ma soprattutto non possiamo farci trovare di nuovo impreparati. Bisogna pianificare il futuro dell’Umbria immaginando cosa potrebbe succedere di fronte a una nuova inaspettata emergenza infettivologica. Farsi trovare impreparati per una seconda volta sarebbe imperdonabile.