DIS…CORSIVO. DIETRO IL PALCOSCENICO

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / È successo qualcosa dietro il palcoscenico. Qualcosa di talmente importante che il retro della scena è diventato il centro dell’attenzione, di una visibile attenzione.

Il regista è morto e, per incanto, lo spazio teatrale si è rivoluzionato. Quello che lui, in vita, voleva che si realizzasse con un progetto di regia, è avvenuto così, semplicemente, con la sua morte.

È successo che, da dietro il palcoscenico, il regista si è fatto avanti, ha ritrovato il se stesso attore, è entrato nei suoi panni.

Il teatro non è ammutolito: la scena e la platea, le quinte e i palchi, le luci e i loggioni, i paganti e le claques, i protagonisti e le maschere, i primi e gli ultimi della grande macchina si sono mossi secondo la spontanea incredulità sulla quale il regista aveva sempre fatto affidamento, che aveva cercato di mettere in scena e di spiegare.

È successo che il regista si è lasciato andare lentamente al motore di quella macchina teatrale che aveva cercato di riprodurre in ogni dove: nei castelli, sui laghi, dentro lo schermo televisivo, nelle scuole per attori fra i boschi, tra i savi e i pazzi di mezzo mondo.

Stavolta, la macchina si è messa in movimento da sola, rispondendo a un impulso lontano e non a un comando impartito da voce umana.

Tutti si sono fatti da parte, i divi di ogni epoca, i fantasmi di mille recitazioni. Succede sempre così quando, da dietro il palcoscenico, la scena deve mostrare il corpo esanime del grande direttore dei giochi.

Intorno, l'aria immota dello spazio chiuso teatrale, lentamente si colora delle tinte di un paesaggio tante volte immaginato e mai, finora, possibile da realizzare.

La scena è muta, ma si vedono tutti i convocati, i protagonisti e le comparse, accogliere il corpo esanime chi piangendo, chi lanciando un bacio, chi stringendosi all'amico vicino, chi provando ad applaudire.

Il teatro è muto, il teatro parla, la morte, a teatro, è una condizione normalissima, più comprensibile che nella vita.

Quando si muore, a teatro, si ha diritto a tutta la scena, compresa la vita che normalmente si svolge dietro il palco.

E quando a morire è il re di quel mondo che anima la scena da dietro il palcoscenico, il meccanismo della vita e della morte appare più chiaro che mai. Non comprensibile, non giustificabile, non apprezzabile. Solo più chiaro e coerente che mai con il mistero del nostro recitare per una vita e del nostro essere noi stessi per un attimo di trapasso.

Fra poco, il palcoscenico ruoterà di nuovo e il corpo esanime scomparirà dalla vista, la scena si ricomporrà alla ricerca del nuovo direttore della grande macchina del corpo teatrale.

Il corpo terreno del regista sarà consegnato per sempre a quell'ambiente che aveva eletto a scenario della propria idea di passaggio sulla terra: “Mi piacciono i boschi, le lepri, i campi coltivati, le volpi, i torrenti, i cinghiali, gli ulivi, le stelle. Ed è per questo che sono andato a vivere in una casa in Umbria, dove posso vedere tutte queste cose”.

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