DIS…CORSIVO. FUORI PORTA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / E adesso, che molti di noi abitano tutto l’anno lontano da quei centri storici che giustificavano,

un tempo, l'espressione “fuori porta”, adesso la giornata di Pasquetta trascorre alla ricerca di mete casuali, nel tempo della convivialità e nello spazio di un pigro girovagare per borghi e colline.
Non avendo più una città come riferimento, il concetto di ciò che ne sta fuori, ai bordi, sul confine con la campagna, si è dileguato per sempre.
Le famiglie, che hanno quasi pudore nel ritrovarsi il giorno di Pasqua, a Pasquetta sembrano non avere un altro sentimento, oltre il pudore, nel cui segno andare “fuori porta”.
La gita di Pasquetta è stata, nella tradizione in cui siamo nati e vissuti, il punto di incontro e di ritrovo di gruppi familiari cittadini allargati. Quella di Pasquetta, è stata gente che aveva quasi nostalgia della campagna da poco abbandonata per vivere in città, gente i cui genitori i cui nonni, magari, sapevano cosa vuol dire un'aia e ricordavano il rumore delle catene delle mucche nelle stalle.
A Pasquetta, la città e la campagna si ritrovavano insieme attraverso la gita “fuori porta”. Si cercavano luoghi particolarmente favorevoli a rimettere insieme, sull'erba, tavolate gigantesche, nelle quali non mancava nessuna pietanza pasquale, portata in pompa magna dalla carovana dei gitanti.
Ed era il primo appuntamento con la primavera, anche se il vento ancora scorrazzava freddo e qualche acquazzone rovinava la festa.
Tutto questo è saltato, è questo l'anello fra le generazioni che non c'è più, è il simbolo del passaggio delle stagioni ad avere assunto altre ritualità.
I riti, adesso, sono tassativamente turistici. Non c'è altro motivo per onorare la Pasquetta che quello di aderire a un programma turistico organizzato dal marketing friabile delle città ordinate e dei borghi accoglienti.
Si ritorna in città, non si esce più dalla città. Le città hanno assorbito del tutto le campagne, sia con ciò che organizzano, per Pasquetta, dentro le mura sia con ciò che consentono di organizzare, “fuori porta”, alla ricettività rurale.
In ogni caso, niente, o poco più di niente, ha a che vedere con la libera e spontanea corsa verso il “fuori porta” che si cominciava a vedere, presto, nella mattina di Pasquetta, e si terminava tardi, a sera, con ebbri rientri di sole e di vento, di pioggia e di desiderio di primavera.
Ecco, davvero, “fuori porta” significava andare a sollecitare la natura in primavera, a invocare l'arrivo della bella stagione, a innamorarsi e a far gioire il cuore.
E il marketing che dà molto di più di queste innocenti evasioni, non ha contemplato un'adeguata poesia nei suoi programmi per il giorno di Pasquetta.
Il fatto è che la poesia del “fuori porta” non s' inventa a tavolino, ma, bella per la sua spontaneità, aspetta per sempre una mano “culturale” per tornare ad avere la sua antica, semplice dignità di festa dell'amore che sta per sbocciare.

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