Dis…corsivo. I purosangue di Foligno

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Chissà quale futuro glorioso avevano in mente i commentatori della prima edizione della Quintana quando auguravano alla Giostra di diventare un evento capace di oscurare analoghe rievocazioni in Italia, primo fra tutti il Palio di Siena?

Si era, appunto, nel 1946, e qualunque sia stato il sogno di allora, non si può dire che non abbia portato fortuna alla festa, che vive della bravura dei suoi organizzatori altrettanto quanto è ancora debitrice alla fantasia popolare di un difficile Dopoguerra.

Credo però che settant’anni dopo non siano in molti a rendersi conto delle condizioni entro cui è nata la Quintana. O, perlomeno, mi pare che il fasto di oggi possa tranquillamente fare a meno dello spirito popolarmente aristocratico dal quale erano animati i membri della “benemerita Società di mutuo soccorso fra gli operai, agricoltori ed altri cittadini di Foligno” che dettero vita, il 14 e 15 settembre 1946, alla prima Quintana.

Tra la primavera e l’estate di settant’anni fa, di fronte all’idea di “riesumare” una giostra seicentesca, l’opinione pubblica folignate si sentiva sbalordita e stupefatta e faceva questa considerazione: “Sembrerà strano che per ritrovare un qualche sollievo cittadino si debba ricorrere ad una festa di trecento anni fa. Con tutti i ritrovati moderni, con tutti gli sport di grido e tutte le danze e tutte le svariatissime ore del dilettante, tornare indietro di tre secoli! Eppure è così”.

Così, appunto, scriveva la “Gazzetta di Foligno” del 10 agosto 1946, non dando alla notizia del lavoro preparatorio intorno alla Giostra nemmeno la prima pagina, ma più prudentemente la seconda. Faceva il tifo per la festa, la “Gazzetta” (“Noi salutiamo con entusiasmo questa attività destinata ad uscire fuori dalle ormai troppo lunghe e troppo deprimenti manifestazioni di partito”), ma la prima pagina all’evento l’avrebbe data solo un mese dopo, il 7 settembre 1946, non potendo fare a meno di pubblicare in grande evidenza, dentro un riquadro centrale, il programma ufficiale della manifestazione.

E, a festa riuscita ogni più rosea aspettativa, il 21 settembre 1946 si dava conto di un dibattito intorno allea Giostra che sembra lontano ormai anni luce dai parametri odierni. Eppure è con alcune di quelle idee di settant’anni fa che, lo vogliamo o no, bisogna tornare a confrontarsi se si vuole inaugurare un nuovo capitolo, un periodo di ulteriore rinascita della Quintana.

Cito ancora dalla “Gazzetta”: “La rievocazione storica della Giostra della Quintana è stata accolta come meritava e nel fine e nei mezzi. Il fine era quello di risollevare le sorti del sentimento cittadino, allontanandolo dalle antipatiche competizioni politiche, di portarlo al suo stato genuino di competizioni simpatiche, cavalleresche e innocenti. E il fine, possiamo dire, è stato in gran parte raggiunto. Nessuno ha le pretese della totalità assoluta, si capisce, e nessuno, in tempo di democrazia, pretende di chiuder la bocca ai dissidenti di professione. Che qualcuno abbia detto esser queste rievocazioni un ritorno delle manifestazioni borghesi, è padrone di asserirlo non ostante il torto marcio di storico sapore: le competizioni rionali non erano non sono e non saranno mai manifestazioni borghesi. Se così fosse, il comitato promotore, che è tutt’altro che borghese, non avrebbe posto in lizza elementi tutt’altro che borghesi quali, tra gli altri, il carrettiere Cirocchi e lo stalliere Maestrini”.

Le accuse di “festa borghese”, poi, non erano, nel 1946, che il condimento più zuccheroso su una “portata” di ben più aspra polemica, che riguardava direttamente i veri o presunti ritorni di fascismo avvenuti attraverso di essa: “Mancava solo che si cantasse Giovinezza!” – dardeggiava Tito Marziali, corrispondente de “L’unità”.

Perché, allora – se questo è solo un assaggio del clima nel quale è nata la Quintana moderna – non si trova il modo di rievocare anche l’atmosfera di settant’anni fa, oltre che immedesimarsi direttamente, con il maestoso Convivio del 7 febbraio prossimo, nell’aristocrazia folignate del 1613? La Quintana moderna ha dunque potuto rimettere ai notabili di oggi le vesti di broccato dei loro antenati non solo per moderno divertimento, ma anche per perenne senso del potere?

Certo, se una festa barocca non si celebra con un Convivio barocco, che festa barocca è, come può essere adeguata al suo ruolo?

D’accordo. Ma, pur sempre, il popolo dov’è? Quel popolo, per il cui coinvolgimento tanto hanno fatto gli organizzatori di settant’anni fa, dov’è tra i 240 invitati al Convivio che inaugura le celebrazioni del settantesimo della Quintana?

Io avrei osato tutto quello che c’era da osare: per mostrare la festa alla gente, esattamente come settant’anni fa, avrei preso dieci cavallini fra i meno purosangue che ci sono in giro a Foligno, li avrei portati in corteo per la città con uno striminzito stuolo di madonne, messeri e tamburini e così anche in una fredda o non fredda giornata di quest’inverno del 2016, a febbraio, sarei andato al Campo de li Giochi a correre una Giostra degna in tutto di quegli allegri e vivaci folignati di settant’anni fa, che ne avevano piene le tasche di feste di partito e si inventarono la Quintana del Novecento, la prima: bella, fallace, spontanea, dissacrante e seria.

Poi, a notte, sarei andato a Palazzo Candiotti, in ogni caso, e lì avrei fatto, come si farà, meraviglie. Ma il verso alla Quintana di oggi, in nome di quella del 1946, con tanti approssimativi purosangue, non solo equini, l’avrei fatto, in nome proprio dello stesso spirito barocco. Così, ditemi, non sarebbe stato tutto più completo?

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