Dis…corsivo. Il sindaco e il vescovo

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Roma non si smentisce mai: sguaiata e contrita, libertina e parruccona, barocca e cenciosa, periferica e capitale, stupida e virtuosa, popolana e patrizia, madre e matrigna, accattona e liberale, suburra e pariolina, gradassa e sapienziale, smargiassa e dottrinale, stornellatrice e pontificale. Eppure, questa Roma della quale non si finirà mai di estremizzare gli opposti vizi e le contrastanti virtù, tace, attonita, di fronte a uno spettacolo per il quale neppure Pasquino avrebbe potuto trovare la giusta rampogna e lo spietato colpo verbale.

Roma laica, città del Capo dello Stato, del Governo e del Parlamento, dei Ministeri e delle massime istituzioni repubblicane, deve ammainare la bandiera della massima magistratura cittadina – il signor sindaco – e deve convenire che il potere religioso, la sua massima autorità cittadina – il vescovo – è mille miglia più evoluta e distinta e vicina al cuore della gente del primo cittadino democraticamente – e primariamente – eletto.

Il sindaco di Roma, da due anni e qualche mese a questa parte, è Ignazio R. Marino. Il vescovo di Roma, anche lui da due anni e qualche mese a questa parte, è Francesco. Marino è stato un fallimento totale, su tutta la linea. Francesco è stato ed è un crescendo di calamitante devozione e di rassicurante presenza, nella sfera spirituale e, pare di capire, anche in quella sociale e istituzionale, come dimostra la grande opportunità offerta alla città con l’imminente Giubileo.

Il futuro sindaco sarà un grande sindaco, chiunque egli sia, perché la grande semina del vescovo Francesco ha attecchito in città e germoglia trasversalmente nei cuori della gente di Roma. Nel nome del vescovo sono saltate, solo per stare all’interno dell’Urbe, antiche divisioni, partigianerie stolte, frammentazioni politiche con l’Oltretevere. Non intendo certo idealizzare quanto, al di là del Tevere, resta, nella Curia, di poco chiaro e denota una deprecabile conduzione di uno Stato come quello del Vaticano. Questo è un altro discorso, con il quale fa i conti quotidianamente Francesco in quanto Papa.

Ma lui, in quanto vescovo, sotto il consolato infausto di Marino, è stato l’unico argine, religioso e civile insieme, contro le piene del malaffare e le esondazioni del qualunquismo che si sono verificate, negli ultimi due anni e mezzo, sugli alti argini del Tevere.

Adesso si ricomincia, ci vuole un nuovo sindaco. Ma chi toccherà il cuore dei romani come, in un Conclave, gli animi dei porporati elettori sono raggiunti da una forte ispirazione soprannaturale e da saggi consigli provenienti da questa stessa terra? La politica dovrebbe avere la risposta, ma esige che la domanda sia posta come essa vuole per poter dare un responso adeguato. Altrimenti detto: i candidati a sindaco vengono tutti pilotati dall’alto, e non per opera – senza scurrilità – dello Spirito Santo. Le stesse primarie, fatte nella realtà o nella rete, sono una competizione fra clan di rappresentanti politici. Chi è già sicuro di essere leader, questa volta, non aspetta altro che passare all’incasso per i demeriti altrui e ha un occhio di riguardo per l’astensionismo, spera che si mantenga sui livelli di sempre e che ai romani non venga troppa voglia di andare a votare.

Così Roma torna ad essere sguaiata e contrita, come dicevo all’inizio, peccatrice e devota,

misera e nobile. Non è ancora troppo abituata a un vescovo fuori delle righe come Francesco, ma dove sta il carisma e di quali gesti sia fatto l’ha visto abbastanza per mandare a quel paese chi ancora spergiura sulla democrazia e mentisce, con falsi leader, sul futuro della repubblica.

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