DIS…CORSIVO. IL “VOTO” DI SAN FRANCESCO

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / San Francesco è entrato, anche se poco, nella campagna elettorale. Se era inevitabile che la sua presenza facesse capolino fra le immagini e nelle parole dei candidati, si poteva però evitare che il richiamo alla sua figura fosse pretestuoso in certi casi e subliminale in altri.

Non ce n'è per nessuno: il Santo, se non compreso, andava lasciato fuori dalla bagarre e basta, ci voleva una tacita volontà di farlo, espressa, senza bisogno di sottoscriverla, dai singoli candidati.

Chi è stato subliminale e chi pretestuoso nell'uso dell'immagine di San Francesco d'Assisi non sto qui a dirlo, è fin troppo facile fare riferimento alla polemica di questi ultimi giorni tra Ricci e la Marini. Un po' d'astuzia clownesca l'ha usata Beppe Grillo insinuando la sua silhouette nei panni di frate Francesco il giorno della sua Marcia da Perugia ad Assisi. Un po' gigione è stato Silvio Berlusconi, invocando su di sé e su Forza Italia il miracolo, da parte di San Francesco, della vittoria del centro-destra alle regionali. Altre chiamate in causa del santo di Assisi non mi vengono in mente, ma quelle che ho adombrato o riportato sono più che sufficienti a dimostrare la sostanziale laicità civettuola che ogni candidato ha usato nei confronti di San Francesco. Piuttosto, mi chiedo: ma quando votiamo, in Umbria, che posto deve avere nelle nostre riflessioni quella figura di un riformatore senza eguali che è stato il figlio di Bernardone? Non intendo, con ciò, riaprire il discorso del voto cattolico, degli orientamenti al voto delle Diocesi, del peso che frati e monache continuano ad avere sul risultato elettorale umbro. Non si tratta di questo. Fra la laicità civettuola che ha contraddistinto l'interesse per San Francesco e la corposa ricerca del voto cattolico, fra il sostanziale disinteresse e il massimo del tornaconto, la figura storica e il messaggio ideale di San Francesco dove sono finiti, in una terra che anche a Matteo Renzi non è apparsa altro che un “gioiellino”?

Ma sì: l'Umbria e “bella”, è un “pezzo di cuore” per ciascun italiano, siamo circondati dall'ammirazione di tutta la nazione. Perché nessuno dice, però, che il più acuto riformatore della nostra comunità è stato un frate, il figlio di un borghese del Duecento, capace di sognare e di operare insieme?

All'inizio di un nuovo millennio, chi e che cosa ci impedisce di considerare San Francesco un grande operatore di riforme, un uomo con la mentalità giusta, e ancora inespressa, per agire nella società nel suo insieme e non solo per la riforma della Chiesa? Certo, San Francesco ha operato per questo tipo di riforma ecclesiale, ma, con ciò non ha forse trascinato tutta la società circostante, tutta la comunità bisognosa, tutto il lavoro da consegnare a ognuno, tutta la ricostruzione delle città, tutta la sovrana accoglienza della povertà, tutto il desiderio di confessione reciproca che ci dobbiamo soddisfare per non sentirci soli e abbandonati, tutto lo spirito e tutta la carne di una terra “bella” perché messianica, “gioiello” perché ricercatrice di purezza, “ammirata” perché capace di grandi progetti, compreso quello del momentaneo fallimento?

L'unica cosa che San Francesco non può fare è di orientare il voto. Un “voto”, per lui, era ben altra cosa che una scheda elettorale. Se mi chiedessero per chi voterebbe, oggi, San Francesco, troverei la domanda ridicola, pretestuosa, finta e subliminale. Ma se mi chiedessero per chi voterei io, oggi, non ci penserei un attimo: voterei per San Francesco.

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