DIS…CORSIVO. MA CHE MONDO È QUESTO?

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Ma che mondo è questo, in cui una ragazza è costretta a stare tutto il giorno appollaiata su un gabbiotto sollevato da terra, all’inizio del Corso di Perugia, circondata da scritte pubblicitarie? E la gente che passa le deve parlare da sotto in su, tanto che ci vorrebbe un uomo di oltre i due metri di altezza per parlarle ad altezza del viso?
Ma che mondo è questo, in cui alcuni cani, portati sapientemente al guinzaglio per il Corso, costretti anche loro a lavorare, stavolta per una nobile causa antidroga, si lasciano andare, come tutti i cani di questa terra, a dare confidenza a una cagnolina da compagnia, già vestita con la tutina invernale per via della prima tramontana, che manda segnali di richiamo?

Ma che mondo è questo che, alle dieci di mattina, è già aperto a tutti i saltimbanchi di questo mondo, coi palloncini e strani cappelli sulla testa, all'uomo che vende fischietti col richiamo per gli uccellini, a un gruppo di fraticelli che, non si sa come, sciamano verso il Corso e hanno un saio così simile al colore della cioccolata che sembrano finti anche loro, truccati per rendere più attraente che mai la fiera dell'inopportunità?
Ma che mondo è questo, che non teme di essere ridicolo perché c'è un riconoscimento quasi unanime del ruolo propulsivo che la fiera di cui sopra garantisce agli impresari? Ma che mondo è questo, che nessun saltimbanco della politica è riuscito a far riflettere sull'assurdità delle ragazze costrette a vivere su un capanno per dieci giorni di fila, col caldo e col freddo che lungo il Corso non sono poi così indifferenti?
E che mondo è questo, per passare a Terni, in cui, durante una trattativa sindacale non proprio lineare e tranquilla, chi rappresenta la controparte degli operai in sciopero si presenta nottetempo nei luoghi che sono presidiati dai metalmeccanici e rivolge loro parole con profferte da presunto “ti tendo la mano”? Ma che mondo è questo in cui il lupo si può travestire da agnello, la donna in carriera da santo, un manager da pietosa crocerossina? Ma che mondo è questo in cui i servitori dello Stato devono intervenire con tutta la loro autorità per sconsigliare e impedire un atto che nemmeno un bambino compirebbe? Ma che mondo è questo, che non rispetta la dignità di chi soffre e non intende farsi venire a raccontare favole dal personaggio cattivo della fiaba? Ma che mondo è questo, in cui non ci si guarda allo specchio prima di uscire di notte e non si riflette che il buio non aiuta certo a ingentilire i tratti della propria persona, anzi le luci incerte e tremolanti potrebbero anche deturpare il viso bellissimo di una dea?
Oggi la cronaca è piena di storie che pongono sempre la stessa domanda, a Perugia, a Terni e, perché no, anche tra Umbertide e Gubbio? Ma che mondo è questo, in cui la pubblicità di una nota azienda di norcineria ha utilizzato un'immagine della Festa dei Ceri, sostituendo le tradizionali macchine di legno con dei salumi, in cima ai quali sono stati lasciati i santi? Ma che mondo è questo, in cui l'azienda di Umbertide, porgendo le scuse alle Famiglie Ceraiole e alle Famiglie Eugubine, si vede costretta a dire che “siamo amareggiati della situazione che si è venuta a creare, a causa di una fotografia ritoccata da parte dell’Agenzia di comunicazione, dalla quale abbiamo subito preso le distanze”? Ma che mondo è questo, in cui la comunicazione è capace di passare sopra a tutto, di agire con faciloneria, di immaginare la trivialità e di non sapere dove sta di casa il decoro, il buon gusto, la pulizia del gesto e l'affabilità del discorso? Ma che mondo è questo, in cui rimaniamo tutti, davvero, come salami, esposti in bella vista da chi traffica e commercia con l'immagine di questa terra come se fosse nel più assurdo paese dei balocchi, dove non si sarebbe fermato neppure il treno con a bordo Lucignolo e Pinocchio? Eppure Collodi di fantasia ne aveva!
Ma che mondo è questo, in cui viene voglia di gridare a più non posso: “Ridateci la nostra Umbria! Quella che abbiamo conosciuto con le casette ordinate anche se malridotte, con gli operai che portavano a casa denari a sufficienza per far studiare, con profitto, figli che sarebbero diventati affermati professionisti, con la pubblicità di una terra mistica, monumentale e suggestiva”. Sì, “ridateci la nostra Umbria”, anche se mi viene un dubbio: che essa si sia dileguata o sia stata rapita per essere esposta sul carro del Progetto per Perugia capitale della cultura? No, no, per carità! Che mondo sarebbe stato infatti quello in cui qualcuno avesse avuto un'idea tanto geniale da rischiare di vincerci un Premio europeo?

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