DIS…CORSIVO. ORDINE DEL GIORNO: UMBRIA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Fosse stata solo la Capitale, ce ne saremmo fatti una ragione. Il problema è che a latitare, in Umbria, non è tanto il titolo ambìto, ma è la cultura stessa a dare segnali non incoraggianti, a offrire stimoli non significativi. La cultura, dico, nel senso di attività culturali, in quanto i beni, il patrimonio, l’eredità e le risorse storiche tengono benissimo il campo, secondo i tradizionali primati delle epoche lontane e la contenuta decadenza dei secoli a noi più prossimi, quelli che dal Seicento arrivano a tutto il Novecento.

Molti più motivi di attenzione vengono, per contro, dall'agricoltura e dall'industria, perché è in questi terreni che si sta giocando la partita culturale vera, quella destinata a far cambiare pelle a questa regione, bellissima e debolissima. Ci vorranno decenni, ovviamente, ma i segnali che oggi ci si parano davanti con tutto il loro pesante ingombro di crisi, nell'agricoltura e nell'industria, esigono una concentrazione di studiata riflessione nei loro riguardi quale mai, probabilmente, in questa regione si è verificata.
Oggi l'Umbria non deve più uscire da uno stato di crisi simile a quello nel quale si trovava nel secondo dopoguerra. In settant'anni, la modernità della regione è stata ottenuta, è entrata in crisi, ha aperto scenari interessanti di riprogettazione, ma non sempre ha trovato una classe politica all'altezza della riapertura dei giochi e della ridistribuzione delle carte. L'Umbria è stata, alla fin fine, una regione molto conservatrice rispetto alla identificazione nel potere della sinistra, tanto è vero che anche la stessa fotosintesi clorofilliana della creazione del PD costa ancora oggi, quotidianamente, movimenti lenti e pesanti, podagrosi e flemmatici come, forse, in nessun'altra regione italiana.
La classe politica locale, secondo me, ha oggi bisogno di trovare l'inquadratura giusta per farvi rientrare la società umbra in tutte le sue sfaccettature in continuo movimento. E questa prise de vue non può consistere più, bisogna farsene una ragione, nel vanto culturale della terra antica e antichissima, né nella spiritualità vantata per secoli e secoli dietro al poverello di Dio. Proprio lui, il poverello di Dio, non aveva una gloria culturale presso la quale riposare. Pensiamo che sforzo deve avere fatto per scrivere in quella prima lingua italiana che oggi troviamo, col Cantico di Frate Sole, sulle bancarelle di Assisi. Pensiamo quale agricoltura rozza, quale industria nascente e inquinante, quale commercio implacabile ha conosciuto il poverello di Dio e quanto poco tempo e spazio gli sono mancati per sedere all'ombra della pianticella culturale curata che noi oggi immaginiamo nel suo nome e ricreiamo ovunque, nelle città e nelle campagne, nelle chiese e negli agriturismi, a difesa dell'ambiente.
Anche l'ambiente è un alibi, per questa regione, nel momento in cui, come oggi leggiamo, il cromo e il nichel sono stati trovati in percentuali aberranti in oliveti piantati vicino alla discarica della Thyssen. Un macigno in più, che cala sia sulla perfida vicenda del capitale tedesco sia sulla già critica situazione del raccolto olivicolo di quest'anno, contro la quale poi cozzano – che assurdo! - i dati confortanti che vengono dal congresso dell'Unitab, in corso a Perugia: sono 14 mila le tonnellate di tabacco prodotte complessivamente in Umbria nel 2013, che è un dato di assoluto rilievo, specie se visto sullo sfondo generale della crisi anche di questa coltura e del suo non salutistico indotto.
Insomma, se e finché non si riparte, politicamente, dalle questioni dell'agricoltura, dell'industria, del commercio e dei settori più tradizionali dell'economia locale, compreso ovviamente, il dolente artigianato, non ha molto senso rilanciare gli stereotipi dell'immagine umbra, che, fra l'altro, ci ritornano indietro come altrettanti boomerang nelle mani dei colonizzatori culturali di turno (e tanti ne abbiamo visti durante la triste vicenda di Perugia2019). La cultura, invece, deve poter tornare ad essere meno fatua e zuccherosa di quanto appare nelle attività culturali, più parte costitutiva dei meccanismi della vita e del lavoro, più manipolazione dell'oggetto, fosse anche quello intellettuale, più concreta aspirazione al prodotto, più efficace riparo nel bene dei gesti e nel potere delle parole condivise senza il web. Finché non ci sarà questa svolta, è opportuno che la questione dello sviluppo culturale della regione non occupi i primi posti dell'ordine del giorno dell'Umbria di domani.

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