Dis…corsivo. pennuti, ortaggi e cioccolata
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / E se fossero le sagre, i festival, le rassegne, a lungo andare, a far deperire, per la loro parte, i prodotti dei quali portano il nome? Un evento gastronomico nasce con le migliori intenzioni di valorizzare i prodotti locali, ma se poi, col tempo, capita che quel certo prodotto va in crisi imprenditoriale e commerciale, come non pensare che, accanto alle cause strutturali, vi siano motivi d’immagine e di marketing ad affiancare la lenta marginalizzazione di vini, ortaggi, legumi e dolciumi? E che questa marginalizzazione si consumi, senza che ce se ne renda conto, durante l’orgia di primaverili, estivi, autunnali e invernali banchetti popolari?
Il discorso è, lo ammetto, ingeneroso verso tutti coloro che, a vario livello di volontariato e di attivismo locale, danno tutto ciò che possono per la migliore riuscita dei lunghi giorni di abbuffata di prodotti sempre, immancabilmente, tipici che più o meno ogni borgo organizza.
Ciò che intendo dire supera il livello di responsabilità di ognuno di questi protagonisti e non vuole minimamente riformare l’ampio paradiso culinario che essi ci spalancano e che si estende per tutto l’anno in Umbria.
Però, un pensiero sulla concomitanza, ad esempio, del grande successo di “Eurochocolate” e della crisi della “Perugina” va fatto. Può una regione considerare equilibrata una situazione in cui, da un lato, tutta l’Europa viene a comperare per dieci giorni cioccolata a Perugia e, dall’altro, la gamma commerciale del marchio storico della cioccolateria umbra si sta riducendo a pochi “Baci” sfusi, paragonabili a quelli, senza più voglia, che si scambiano due persone che non s’amano più?
Le sagre dei pennuti e le rassegne degli ortaggi poco hanno da spartire con il colosso di “Eurochocolate”, ma una cosa ce l’hanno in comune: la scorpacciata che, in pochi giorni, crea pesantezza gastrica e sazietà complessiva per un bel po’ di tempo. Dopo lo svolgimento di questa o quella kermesse, quanto è stimabile che possa calare la domanda del pennuto, dell’ortaggio e della cioccolata?
A livello nazionale ed europeo, certamente nulla, ma a livello locale una qualche conseguenza si deve produrre, non può non prodursi.
Le sagre e i festival sono tutti giocati sul piano del richiamo emotivo e di testa verso il prodotto protagonista dell’evento. Così, quando la festa finisce, la pienezza non è solo di stomaco e intestinale, ma cerebrale e solo dopo qualche giorno si riprende a fatica il normale consumo, ideale e materiale, gastronomico e creativo, del pennuto, dell’ortaggio e della cioccolata.
In questo senso, finisce che la festa non ha prodotto ricchezza, non ha aggiunto nulla di più del preesistente e ha raggiunto risultati monetizzabili, pur importanti, solo per la valorizzazione del paese che l’ha ospitata e dell’organizzazione che, magari in concorrenza con feste vicine, l’ha realizzata.
Per questo mi domando se alla festa del tal pennuto, del tal altro ortaggio e di quella cioccolata non possa e non debba essere chiesto di fare qualcosa di più, oltre la celebrazione di dieci giorni dei propri banchetti, per l’allevamento, in Umbria, del pennuto, per la coltivazione, in Umbria, dell’ortaggio, per il rilancio, in Umbria, dell’industria del cioccolato. Niente di più, s’intende, di quello che quei soggetti possono fare insieme e d’accordo con le istituzioni locali e le personalità politiche, con gli imprenditori, con i sindacati e, perché no, con il mondo universitario, con i ricercatori, gli uomini di cultura.
Ma non sarebbe, questo impegno, una continuazione onorevole e coerente della vetrina bella allestita all’Expo di Milano?