DIS…CORSIVO. PERUGIA NON NE HA COLPA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Giuro che questo sarà l’ultimo articolo dei tanti che il tema della candidatura di Perugia a capitale europea della cultura per il 2019 mi ha ispirato. Il fatto è che per puro caso mi sono imbattuto nella notizia che la commissione giudicatrice ha reso pubbliche le valutazioni sul progetto umbro.

L’informazione, tanto è stata tenuta al riparo da eccessivi clamori, stava lì lì per sfuggirmi, una settimana dopo la sua diffusione, se non fosse stato per un provvidenziale amico, al quale è sembrato impossibile che io non ne avessi sentito parlare. Eppure no, non avevo letto una riga sull’argomento, forse, proprio perché implicitamente stanco di questo tema, forse per un mio lapsus che, però, ha intercettato al meglio le intenzioni di “mezza informazione” di chi, con tutte le precauzioni del caso, non ha potuto non diffondere una notizia fonte di curiosità come quella della pagella che Perugia porta a casa per il suo progetto sul 2019.
Ma, in fondo, è Perugia ad avere meritato quelle considerazioni critiche della commissione o lo è solo una parte, largamente minoritaria, delle istituzioni e delle lobbies cittadine nel loro strettissimo patto con intelligenze estranee all’Umbria?
Non c’è dubbio, scorrendo i resoconti del verbale della commissione, che Perugia, la sua storia, la sua bellezza, il suo animo difficile ed esigente, la sua durezza baglionesca e la sua tenerezza penniana, il suo fervore capitiniano e la sua atmosfera etrusca, escano incorrotti e non sporcati dal giudizio negativo che si è attirato il progetto per il 2019.
Da parte della Fondazione mi sarei aspettato pur sempre un sussulto d’orgoglio di questo tipo come reazione alla bocciatura. E invece no, non ci sono segni di austero ravvedimento nemmeno nell’algida intervista che Bruno Bracalente ha rilasciato dopo la diffusione del verbale europeo. È mai possibile che nessuno, in quella Fondazione, possa e voglia ammettere che il progetto ideato per il 2019 era, ed è, del tutto fuori fase? Come si fa, almeno per una volta, a non farsi umili servitori della città di Perugia, ammettendo di averne fatto girare un’immagine irriconoscibile rispetto a quella in cui sono immersi i giurati durante la loro visita?
Tutte le obiezioni, poi, saranno opinabili e oggetto, perfino di plateale contestazione. Ma questo atteggiamento di difesa a oltranza del proprio progetto proprio non va, dimostra che la lezione non è stata capita, fa capire, invece, che la partita sarà riaperta, che il popolo di Perugia non si salverà da questo macigno professorale e dottrinario che è il progetto di Perugia per il 2019. Ma devo spiegarlo io che una giuria improntata alla più pura burocrazia europea voleva, una volta tanto, sentire il calore della cultura e non la verbosità di pagine e pagine di ricerca sociologica? E chi lo farà capire ai perugini e agli umbri che vivremo in un clima da capitale anche se Perugia e tutto il suo circolo virtuoso di emanazioni metropolitane non hanno convinto l’Europa? A che serve insistere con un’operazione dichiarata non vincente proprio per non aver saputo dare conto né della soggettività artistica né dell’oggettività progettuale “federata” sul territorio? Certamente, la strada dell’integrazione di Perugia dell’Umbria poteva essere la carta vincente, ma perché non è stata avvertita come tale dalla giuria europea?
Domande, domande a non finire. E nessuna risposta da parte di chi potrebbe sentire come sue tali questioni. Va bene ugualmente, purché, per rispetto di Perugia e dei perugini, popolo complicato ma meno abbottonato di quanto si creda, non si cerchi di far ricadere sulle loro spalle, difficili da coinvolgere, il peso di una bocciatura che è tutta, e semplicemente, frutto delle scelte fatte dalla Fondazione.

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