Dis…corsivo. Piccolo lessico delle qualità degli umbri

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / L’Umbria è una regione indulgente, mite e tollerante. Ma guai a pensare che non sia anche diffidente, incredula e annoiata. Se i tre termini positivi sembrano non avere bisogno di particolari delucidazioni, quelli negativi hanno bisogno di approfondimenti e dibattiti. Verso chi è diffidente e incredula la popolazione umbra? Di che cosa sente la noia? Proviamo a ragionare, mescolando in ordine alfabetico i sei termini che sono usciti dal bussolotto di Nostradamus.

Diffidenza. Gli umbri non si fidano della politica e delle istituzioni. Provare, per credere, il senso di circospezione con il quale accolgono le notizie che riferiscono di alcuni cambiamenti nella composizione della massima assise regionale.

Incredulità. Gli umbri rimangono attoniti, da qualche anno, di fronte a notizie che contengono motivazioni “imbarazzanti” riguardanti indagini “pesanti”, sanguinosi fatti di cronaca.

Indulgenza. Gli umbri sono indulgenti: il razzismo che serpeggia nella società diventa nullo se un immigrato di qualunque tipo bussa alla porta e non se ne va senza avere ricevuto una moneta.

Mitezza. Gli umbri sono miti: accolgono con mitezza perfino gli eventi più rumorosi che qualcuno porta in Umbria, dal jazz alla cioccolata.

Noia. Gli umbri sono annoiati: solo Salvini può illudersi di toglierli dal loro torpore verso la politica incontrandone alcune centinaia nella frazione di Pianello.

Tolleranza. Gli umbri sono tolleranti, purché a sopportarsi non debbano essere abitanti di campanili fra loro confinanti.

Fra questi estremi, c’è spazio per un’infinità di combinazioni di qualità.

Gli umbri, in genere, non esagerano, né nel culto né nell’odio. Solo chi è in età da essere considerato un santone – in genere della politica – crede che gli umbri possano beatificarlo, ma si sbaglia, gli umbri non sono un popolo bigotto, venerano solo un santo, proprio perché non è stato un bacchettone. Si adattavano molto bene, fino a qualche decennio fa, a una devozione spicciola e miracolistica, ma adesso ne conservano solo il lato commerciale.

Gli umbri non hanno maestri, ma hanno piccole élite culturali che venerano i protagonisti del Novecento, nell’arte e nella filosofia, per guadagnarsi, all’ombra dei maestri, un po’ di notorietà anche loro, adesso e per il futuro.

Gli umbri non conoscono la loro regione, ma sfiderei chiunque, con la storia che hanno alle spalle e con la politica che li domina, a saper percorrere, almeno una volta nella vita, il giro dei confini della loro terra: nemmeno i popoli più avventurosi e nomadi sarebbero capaci di tanto.

La sociologia non riesce a focalizzare gli umbri come oggetto di studi perché non li sente diffidenti, increduli e annoiati oltre che indulgenti, miti e tolleranti.

La politica spreca parole su di essi, la religione s’affanna per quello che può a sondare i loro lati oscuri, la letteratura non li narra, salvo qualche esercizio di buona volontà poetica, l’informazione si adegua a solleticare la naturale curiosità della gente e tutt’al più a sfrigolare qualche morbosa inquietudine, l’arte li raggira in maniera palese con brutte mostre e inclementi musei, l’etnologia li ha studiati e classificati da un pezzo per i residui di civiltà contadina che si portano addosso.

Gli umbri, in definitiva, hanno forse solo bisogno di parlare, come quel vigile urbano che un giorno mi voleva multare per un’infrazione irrilevante e qualche giorno dopo, in pochi minuti, tracciava davanti a me, confidandosi, questo quadro di umbri sobri e impenitenti che ho cercato di riportare.

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