DIS…CORSIVO. IL VASCELLO DI BOCCALI

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Se Mario Valentini è sopravvissuto alla crisi del Psi ed è rimasto sindaco di Perugia anche dopo la fine di Craxi, se lo stesso Renato Locchi, sindaco diessino, è rimasto in sella a Palazzo dei Priori per ben due consigliature con tutto il travaglio che ha portato alla nascita del Pd, perché la stessa cosa non è successa a Wladimiro Boccali, che poteva contare su un partito ormai non più da rivoluzionare ma, semplicemente, da gestire? Non ci sono sottintesi dietro queste domande, non c’è da andare a capire e a vedere gli eventuali mal di pancia, ma è chiaro che anche le risposte dovrebbero essere prive di alibi.

L’avvicinarsi della fine dell’annus horribilis per il Pd umbro spingerà pure qualcuno ad essere meno reticente e a vedere la questione della perdita di Palazzo dei Priori e il fallimento della corazzata Perugia2019 su uno sfondo meno approssimativo e sfuggente di quello che emerge dal dibattito ormai tutto centrato sulla battaglia per le Regionali!

Per creare questo scenario, sgombrerei subito il campo dalla valutazione sugli uomini. Le personalità che hanno guidato il Comune di Perugia, dal secondo Dopoguerra a oggi, vanno studiate molto più a fondo di quanto si sia fatto finora, approfittando della molteplicità di tutte le fonti politiche e amministrative disponibili. In via provvisoria, si possono perciò tentare ricostruzioni dei periodi di sindacatura e, soprattutto, bisogna riuscire a datare, con una certa precisione, gli anni in cui Perugia ha subìto la metamorfosi del suo centro storico senza trovare soluzioni adeguate per le sue periferie, allorché per periferia si è cominciato a intendere la stessa Piazza del Bacio.

I periodi. Si può pensare che Valentini è arrivato in porto, oltre che per virtù personali, anche per la scia di consolidato benessere che gli anni Ottanta di Giorgio Casoli – e, in parte, di Mario Silla Baglioni – si portavano dietro. Ma, dopo di lui, si è dovuto cambiare, e radicalmente. La sequela ininterrotta dei sindaci socialisti di Perugia s’interrompe con Valentini e ciò potrà divenire oggetto di studio per gli storici di formazione socialista, se ancora ce ne sono. Ma il dato di rilievo è che l’interruzione avviene spostando con decisione l’opzione dal politico decisionista all’uomo di cultura, al professore garbato e limpido, a Giorgio Maddoli. Dopo Maddoli, finita la quarantena dei politici, tornano gli uomini dell’apparato dei partiti rinnovati ed ecco Renato Locchi, col quale sembra di tornare, mutatis mutandis, all’atmosfera da vento in poppa che non si ricordava più dai tempi di Casoli. Anche stavolta, due sindacature, anche stavolta un successore, come Valentini a suo tempo, degnissimo di proseguire oltre la prima sindacatura: Wladimiro Boccali.

Ma c’è di mezzo il Pd. La prudenza usata a suo tempo lasciando, tra centro e sinistra, la scena a una personalità come Maddoli non è stata presa in considerazione quando si è deciso il disco verde per Boccali, ben sapendo la profonda turbolenza alla quale, tra primarie, Renzi, Bersani e Letta, egli andava incontro. La prudenza di scegliere un nome fuori della bagarre, di sentire il vento propizio a una personalità meno bersagliabile, non è stata applicata e il minimo colpo di timone assestato male tra i flutti ha portato a fondo il vascello di Boccali. Peccato.

Fin qui un timido abbozzo di analisi politica, con la speranza, chissà, di alimentare un piccolo dibattito di fine d’anno. Poi, però, c’è l’altra questione che dicevo sopra: a quando si può datare il crollo dell’immagine dell’acropoli se Casoli ha inaugurato la scala mobile della Rocca Paolina e Locchi ha fatto correre la prima cabina del minimetrò? Il Corso ha cambiato faccia negli anni Novanta o già qualche anno prima scalpitava il commercio globalizzato? Dalle risposte a queste domande si potrà capire più e meglio di quanto l’analisi politologica possa fare perché il Comune di Perugia, nel 2014, in assoluta controtendenza, è divenuto un’enclave di Forza Italia.

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