LA FRAGILE BELLEZZA. SECONDA GIORNATA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / La seconda giornata del Convegno “Ambiente e arte fra umanesimo e scienza”, che si svolge nel Salone Papale del Sacro Convento di Assisi, è cominciata pigramente nonostante i due sassi formidabili che Lucia Annunziata, conduttrice della quarta sessione al posto di Virman Cusenza, ha gettato nel dibattito: “Oggi l’Italia è al punto più basso del suo rapporto con l’ambiente” e “stamattina abbiamo al tavolo i cementificatori: Anas, Trenitalia e Strabag”.

Non se n'è avuto Bruno Fabbri, della Strabag, azienda leader nelle costruzioni a livello europeo, che, anzi, ha rilanciato sul tema di come si può minimizzare l'impatto di un'opera pubblica muovendosi con un “Piano di monitoraggio ambientale” e, con termine che per fortuna molti non hanno memorizzato, “rinaturare”, dopo la costruzione, quelle che sono state le aree dei cantieri e le piste utilizzate per lavorarci. Con ancora maggiore aplomb ha risposto alla conduttrice Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia, che si è posto la domanda, rispondendo con un convinto sì, se le regole del mercato sul quale opera la sua azienda, dall'alta velocità al trasporto locale, consentano il rispetto dell'ambiente. Ciò, poi, a fronte del fatto che Trenitalia è il più grande consumatore di energia del Paese. Anche considerando ciò, ha ribadito Soprano, il treno resta la scelta di trasporto più compatibile con l'ambiente, che deve fare i conti con tante, a volte troppe, regole burocratiche e, sul versante della natura, con una copertura, recente, delle linee dal ghiaccio quale finora non s'era mai vista alle nostre latitudini. Dalla durezza di una linea ferroviaria coperta di ghiaccio, quindi da una situazione non proprio fragile, Pietro Ciucci, Presidente dell'Anas, incalzato da nuove domande dell'Annunziata, è passato al suo rapporto con l'ambiente per mezzo di una citazione, del 1939, di Le Corbusier: “Una strada non è un'entità chilometrica è un avvenimento plastico in seno alla natura”. Insomma, neanche Ciucci si sente “cementificatore”. Anzi, si sente molto consapevole del fragile equilibrio nel quale interviene l'Anas, soprattutto quando – ed è la norma – ha a che fare, tracciando “un avvenimento plastico in seno alla natura”, con l'immenso patrimonio archeologico giacente qualche metro sotto lo scavo necessario per aprire una nuova strada. Quel patrimonio così ben salvaguardato, nonché l'affidarsi a “maestri del Novecento” per contribuire a disegnare il nuovo paesaggio italiano fatto di arterie e viadotti, fanno dell'Anas un'azienda virtuosa, che può rientrare tranquillamente nell'area della “cittadinanza d'impresa”. Mani leggere, dunque, sull'ambiente italiano da parte di aziende che attraversano il paesaggio e lo modificano di necessità. Gian Luca Galletti, ministro dell'ambiente, ne ha preso atto, ma ha rilanciato sul piano etico un dibattito fattosi molto circostanziato e denso di particolari tecnici. Galletti ha citato Papa Francesco (“Se distruggiamo il creato, il creato ci distruggerà”) per invocare un disegno complessivo sull'ambiente e non iniziative legate, di volta in volta, a delle emotività. E così ha chiesto agli imprenditori presenti se credono di poter mantenere, nel 21° secolo, il modo di produrre che abbiamo adottato nel 20° secolo. Evidentemente no – si è detto – proprio perché, in ogni caso, non possiamo più permettercelo, non fosse altro che per motivi di profitto economico, ma, ancora di più, perché l'economia che avanza, specie dopo la crisi, sarà di tipo circolare e non lineare come quella che ci lasciamo alle spalle, potendo contare su risorse sempre meno abbondanti. Bisogna, dunque, attrezzarsi sin da ora per il futuro, trasmettere la cultura ambientale ai nostri figli, quella cultura che, non essendocene la necessità, i nostri genitori, pur bravi e onesti, non hanno trasmesso alle generazioni nate nel secondo dopoguerra. In ciò, il ministro ha ripreso il tema conclusivo dell'intervento svolto il giorno prima da Galli Della Loggia, colorandolo di un impegno amministrativo (la leva fiscale della riduzione delle tasse per chi non inquina) e di una felice definizione di “nativi ambientali e digitali” relativa ai giovanissimi ragazzi di oggi. Un dibattito divenuto così caldo è trapassato con naturalezza nella sessione seguente, che ha visto come protagonisti Lucia Annunziata e Vittorio Sgarbi, come da programma, e mons. Domenico Sorrentino (in programma era annunciato il cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Umbra). Assente, per dolorosi motivi familiari, don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano, il prete coraggio della “Terra dei Fuochi”, ha moderato l'incontro Paolo Rodari, vaticanista de “La Repubblica”. Lucia Annunziata ha chiesto una deroga all'ordine degli interventi per denunciare tutta la bruttezza della persecuzione contro i cristiani che avviene in Iraq e che domina la scena mondiale. Dalla fragilità della bellezza alla violenza della bruttezza il passo può essere terribilmente rapido, più improvviso di quanto immaginiamo, specie se favorito da azioni che ricordano molto da vicino la preparazione e la gestione dell'olocausto. Un'immagine, in particolare, mi ha colpito delle tante riportate dalla giornalista: quella del rogo delle croci, che rinnova il martirio di Gesù nell'anonimo martirio di tanti testimoni della fede e riporta molta arte, molta pittura, molta scultura che ha utilizzato le croci come motivo estetico alla crudezza della sua non morta radice di violenza e sopraffazione. Anche Vittorio Sgarbi è ripartito da questo scenario altamente drammatico quando ha ricordato la legge dell' “homo homini lupus”, che tutta l'antichità ha praticato fino al cristianesimo e che Cristo, “nella sua intuizione divina di essere uomo” ha trasformato in legge dell'amore. Colui che più di ogni altro martire cristiano ha saputo imitare Cristo, cioè riproporne, pur non essendo figlio di Dio, la legge di amore a tutti i costi è stato San Francesco. Con lui siamo entrati nel regno dell' ”homo homini deus”, magnificamente illustrato nel Cantico delle Creature. Nel Cantico, infatti, coesistono programmaticamente, per la prima volta, “la bellezza di quello che esiste in natura e la bellezza aggiunta che può creare l'uomo”. La colpa grave che l'Italia ha dagli anni Sessanta in poi è di avere distrutto, in una manciata di anni rispetto ai millenni precedenti, moltissima parte della creazione di Dio e di quella che nei secoli può avere aggiunto l'uomo. Il privilegio di arte e cultura che ci era stato dato in eredità è stato svilito e sfinito, la cecità di intere parti dello Stato ha profanato quel tempio di ricchezze che San Francesco aveva così bene intuito nella sua canzone in forma di preghiera. Sgarbi ha illustrato con molti esempi l'attuale sfacelo, dovuto alla presunzione di sostituirci, restaurando le opere antiche, all'equilibrio estetico raggiunto dai creatori di bellezza di tanti secoli fa. Tanta incuria riguarda sia il patrimonio di punta (Sgarbi ha polemizzato con Carandini che, proprio nel primo giorno del convegno, aveva definito “operazione per mostrare i feticci” il trasferimento dei Bronzi di Riace a Milano per l'Expo, mentre il critico d'arte è favorevole all'evento espositivo) sia il patrimonio minore di cui una regione come l'Umbria è molto ricca. Mons. Sorrentino ha voluto “risollevare l'animo” dei presenti dopo le infuocate parole di Sgarbi, che avevano fatto avvertire di nuovo tutto il senso della “foglia fragile” da cui, in questa lunga cronaca, sono partito. Il vescovo di Assisi è tornato sulla necessità, già espressa nel saluto della prima giornata del Convegno, di convertirsi alla bellezza, cioè al cammino da fare per condividere, almeno fra due persone, una stessa idea di bellezza. Poi, però, ha raccontato al pubblico l'esperienza vissuta accanto a Papa Francesco nel giorno dello scorso 4 ottobre. Egli ha avuto il privilegio di portare i suoi occhi dove li portava il suo ospite, al quale faceva da guida in una città a lui sconosciuta. Ha così potuto incontrare il miracolo di una percezione tutta puntata sui valori della povertà e della fragilità, oltre che su quelli della bellezza dell'arte e del paesaggio, impersonati dagli ultimi, i poveri, i sofferenti nella carne e nello spirito. E, ancora, gli accenti del pensiero del Papa si sono avvertiti a conclusione dell'intera “due giorni”, avvenuta davanti alla Basilica Superiore, al tramonto, dopo la registrazione del programma televisivo di Rai Uno “Nostra Madre Terra”. Protagonisti l'arcivescovo argentino Victor Manuel Fernàndez e il cardinale Gualtiero Bassetti. Il Rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina ha richiamato la questione, centrale nel pensiero di Papa Francesco, dell'autotrascendenza, del completamento spirituale e materiale, cioè, che come individui possiamo avere solo uscendo da noi stessi in direzione degli altri e che la Chiesa stessa deve operare per essere autentica comunità inclusiva di ogni individualità umana. Questo lasciarsi abbracciare dal mondo non può che portare, anche se con un percorso pieno di difficoltà, a riconsiderare con un occhio del tutto nuovo la natura e ogni cosa creata. Ancora, e spesso, siamo nel deserto, fra i rumori, nell'impersonalità – e la “foglia frale” di Leopardi ben lo sa. Come sa che le parole di congedo, offerte dal cardinale Bassetti, sono partite anch'esse dallo stato di disperazione dell'uomo che, in pochi decenni, sta mandando alla malora un tesoro di valore inestimabile. Il suo invito a tornare ad Assisi, fragile bellezza ferita dal terremoto e rinata “nella chiesa che abbiamo alle nostre spalle”, suona come un monito a non sentirsi inutilmente gettati nel mondo, ma a capirsi come persone impegnate nella vita, nel lavoro e nella preghiera. Tutti, senza esclusione: uomini, donne, esseri che partecipano della bellezza inesauribile del creato semplicemente contemplando le sue creature.

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