I soldi si fanno con il lavoro

“L’attuale centralità dell’attività finanziaria rispetto all’economia reale non è casuale:dietro a ciò c’è la scelta di qualcuno che pensa, sbagliando, che i soldi si fanno con i soldi. I soldi, quelli veri, si fanno con il lavoro. E’ il lavoro che conferisce la dignità all’uomo, non il denaro”. E’ quanto afferma  Papa Francesco, a proposito del lavoro, rispondendo ad alcune domande in una lunga intervista  pubblicata su Il Sole 24 Ore del 7 settembre scorso.

“La persona che mantiene se stessa e la sua famiglia con il proprio lavoro – aggiunge ancora – sviluppa la sua dignità; il lavoro crea dignità, i sussidi, quando non legati al preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzazione”.

Papa Francesco rafforza così un concetto già espresso in occasione della sua visita pastorale a Genova, il 27 maggio 2017, secondo cui l’obiettivo vero da raggiungere non è il “reddito per tutti”, ma “il lavoro per tutti”.

Ho voluto riprendere queste indicazioni di Papa Francesco per verificare quanto siano recepite negli strumenti legislativigià in atto (Reddito di inclusione) od in fase di proposta (Reddito di Cittadinanza del M5S). Anche se resta difficile una loro comparazione, tenuto conto che la propostagrillina non appare ancora precisamente definita. Ma che, come indicato nel Contratto di governo, si tratterebbe di  una “misura attiva rivolta ai cittadini italiani (“che versano in condizioni di bisogno”) al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese”. Una proposta che, con il potenziamento dei centri per l’impiego, sarebbe orientata anche a ridare lavoro.

Ma il nomescelto dal M5S per il reddito proposto appare illusorio e fuorviante, prestandosi ad usi opportunistici, come avvenuto durante la campagna elettorale, seducendo quanti erano in situazioni di bisogno. La misura proposta non appartiene infatti alla famiglia dei redditi di cittadinanza, che dovrebbero essere erogati a tutti senza alcuna condizione. Ne possono invece beneficiare, secondo le intenzioni attuali del M5S, solo quanti sono sotto una certa soglia di reddito e intendono lavorare.

Anche per il Reddito di Inclusione (Rei),in vigore da quest’anno, sono previsti dei parametri per beneficiarne, tra cui un Isee non superiore a 6.000 euro. Oltre ad un contributo economico, sono previsti progetti, predisposti dai comuni in collegamento con i Centri per l’impiego, allo scopo di accompagnare chi vive in condizioni di bisogno a ritrovare la propria autonomia sociale e lavorativa.

Rei e Rdc appartengono entrambi alla famiglia dei redditi minimi europei, universalistici e selettivi. Ma differiscono, oltre che per le varie condizioni di accesso, anche per l’ammontare del sostegno economico mensile: un singolo privo di altri redditi, con il Rei percepisce, dal 1° luglio di quest’anno, 250 euro; con il Rdc dovrebbe percepire 780 euro. Si tratta quindi di misure molto differenziate per l’ammontare della spesa prevista. E va anche osservato che il livello molto elevato del beneficio previsto dal Rdc corre maggiori rischi di disincentivare al lavoro, soprattutto per lavori a bassa retribuzione.

Considerando che il Rei, con i fondi  messi a disposizione per quest’anno (circa due miliardi e  470 milioni) potrà raggiungere circa 1,8 milioni di persone bisognose su una platea di circa 5 milioni di persone che vivono nella povertà assoluta, sarebbe molto più rispondente albene dei cittadini, per il Governo attuale, senza pensare esclusivamente al proprio consenso elettorale ed in attesa della definizione del nuovo strumento, destinare più fondi per il Rei, ampliando così la platea dei bisognosi da soddisfare. Peraltro la struttura del Rdc non potrà che ricalcare quella del Rei.

Alvaro Bucci

 

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