LA SETTIMANA DEL PROFESSOR AFFABILE

di Umberto Giorgio Affabile / E’ ancora Palazzo Cesaroni a concentrare su di sé l’attenzione elettorale di questa settimana. Due avvenimenti, infatti, riguardano direttamente il cuore dell’Assemblea legislativa umbra:

l'articolo con cui sul Corriere della Sera è stata attaccata a fondo la Legge in base alla quale voteremo a fine maggio e l'approvazione, a maggioranza, in Aula, del Documento annuale di programmazione, il Dap.

Ad accendere la polemica - probabilmente gradita a tutti i candidati tranne che a Catiuscia Marini e, in parte, se non completamente, a Claudio Ricci - è un intervento di Giovanni Belardelli, docente di storia delle dottrine politiche a Perugia, al quale il Corriere della Sera, disponendo evidentemente di spazio, ha trovato giusto riservare le colonne di un editoriale. Curioso di sapere cosa ne pensi l'altro autorevole editorialista del Corriere che ben conosce l'Umbria, forse più di Belardelli - Ernesto Galli della Loggia -, mi chiedo se la bordata contro la legge elettorale umbra rivesta carattere scientifico o sia un pacchetto maccheronico di giudizi e osservazioni molto terra terra. Sì, perché di argomenti Belardelli non se ne fa mancare, ma quando si lascia andare alla conclusione che “in Umbria la sinistra è abituata a vincere sempre e non ha ancora assorbito il trauma della perdita del Comune di Perugia”, dimostra di scendere dal livello dei rilievi giuridicamente propri per attestarsi sul terreno delle dietrologie, che non dovrebbero essere proprio il suo mestiere.

Scontato il “l'avevamo detto” della candidata del M5S Laura Alunni e, tuttavia, non sorprendente neppure la difesa d'ufficio di Leonelli, che mette in dubbio i titoli a parlare di diritto costituzionale, in qualità di esperto, di Belardelli, dato per più autorevole intorno al ventennio fascista, a Mazzini e al Risorgimento.

Risultato: quello di Belardelli è un colpo di mortaio andato a vuoto, una meteora sul cielo dell'opinione pubblica umbra. Se egli si fosse rivolto davvero agli elettori umbri, anziché ai lettori del Corriere della sera, avrebbe fatto un'opera più meritoria e inattaccabile scientificamente.

Altra notizia proveniente da Palazzo Cesaroni è l'approvazione a maggioranza del Dap. Gli ottanta milioni di euro di spese per il 2015 sono diventati inevitabilmente motivo di contesa elettorale in Aula, con la Marini che ha scandito bene che “non è un Dap da campagna elettorale” e con il voto contrario di Prc e Idv a sancire, di fatto, la fine della maggioranza uscita dalle alleanze elettorali di cinque anni fa.

Cosa c'è da imparare, in fin dei conti, da questa rottura, che possa servire da traccia per la composizione delle alleanze future? Sia Stufara sia Brutti sono esempi, da non replicare, di esponenti politici che vedono andare a picco le ultime zattere sulle quali si erano riparati alla fine dei rispettivi partiti politici. Si riesce, oggi, a capire quale personale politico non riuscirà a “tenere” cinque anni di promesse alleanze? Si riesce a non ingaggiare personalità come Brutti e Stufara per il prossimo quinquennio, che non è, fra l'altro, un quinquennio qualunque?

Di Stufara e, forse, nemmeno di Brutti, sembra, invece, che non si potrà fare a meno, stando alla frenetica attività con cui il Prc, proprio mentre scrivo queste note, sta cercando di organizzarsi per correre da solo dietro un sesto candidato presidente da scegliere tra Mauro Volpi, Fabio Amato, Lucia Maddoli e lo stesso Stufara, in veste più animatore dietro le quinte che di leader.

Mi dispiace davvero per tutti gli encomiabili idealisti che si sono radunati al Mater Gratiae, ma il consiglio di non seguire più feticci in nome di un'Altra Umbria, tutta colorata di rosso, e di non dare credito a personale politico che non ha cinque anni di autonomia nelle gambe è rivolto particolarmente a loro: di Tsipras ce n'è uno solo e fra cinque anni, anche lui, chissà come sarà messo! E certo non farebbero male ad ascoltare il consiglio anche tutti i seguaci, dentro il Pd, di “L'Umbria a sinistra”, che, corri corri, si ritrovano a seguire le direttive di un esponente politico come Fassina, troppo modesto e pieno di sé. Senza contare che, dentro il Pd, la difficoltà maggiore ce l'hanno proprio coloro che stanno mettendo mano alla “lista della presidente”, i “Popolari e riformisti per l'Umbria”: il rischio di un cencellismo di ritorno è, in questo caso, dietro il paravento delle nobili intenzioni, molto consistente.

Misuratissimo, infine, col contagocce, il liquido di parole che esce dal centrodestra. Solo una dichiarazione di Claudio Ricci, che parla di “una esperienza finanche modello per il quadro nazionale che ci auguriamo possa Papa portare la 'coalizione per il cambiamento' a vincere in Umbria, dove ognuno di noi, persona, gruppo civico o politico, si sta impegnando con 'pari importanza e valore' per 'il bene comune' della regione”. Misurato, ma come sempre ambizioso, Ricci: se il ciclone che staziona - a Roma - tra Forza Italia e Lega non lo schiaccia, certo potrà vendere molto cara la pelle in Umbria, da qui al 31 maggio.

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