LETTURE. DEMETRIOS

di Maurizio Terzetti / Lancelot Müller, stimato professionista di Dresda, non ricordava quasi più quante estati aveva trascorso in Grecia. Da quando i suoi figli erano poco più che lattanti, fino all’anno prima, quando ormai erano studenti universitari, avevano passato pressoché ogni anno l’intero mese di luglio nell’isola di Kea, affittando un grazioso appartamento che, specie nei primi anni, era di proprietà del pescatore Athanasios, uomo di una dignità e di una ospitalità senza pari.

Col tempo, il laboriosissimo Athanasios si era trovato costretto a vendere la sua piccola casa sul mare a un'impresa di costruzioni che ne aveva fatto un appartamento utile al turismo più esigente che si stava dirigendo verso le Cicladi. Lancelot, però, giudicando che gli interventi fatti sull'abitazione non ne avessero deturpato il fascino greco delle origini, aveva continuato ad affittare l'appartamento che era stato del pescatore. Con lui, poi, ogni volta che arrivava sull'isola, il saluto era sempre di un calore del tutto particolare. Sia l’austero dentista di Dresda sia sua moglie sia i loro due figli avevano conservato e sviluppato una specie di venerazione sacrale per quel vecchio pescatore, che di anno in anno diventava sempre più asciutto e rinsecchito ma sempre più saggio e umile.

Quest’anno - si era in marzo – i Müller non avevano potuto ancora decidere se andare o no a Kea perché la situazione dei rapporti fra la Grecia e l’Europa non era delle migliori, anzi volgeva proprio al peggio. Con Athanasios, greco fino al midollo, il dottor Müller, tedesco di fede e di convinzione genetica, si era sempre inteso in maniera strabiliante. Non s'era mai posto il problema di come ciò fosse possibile, ma aveva visto che era così e che così era per sua moglie Alma e per Astrid, la figlia maggiore, come per il più piccolo Bruno. Adesso, però, con tutto quello che succedeva tra Atene e gli altri paesi europei, soprattutto con la Germania, non se la sentiva di riprendere la rotta della Grecia, l'aereo fino ad Atene, la partenza dal porto di Lavrio, un'ora di traghetto, l'arrivo a Ioulida, il gioiello dell'isola.

Con quale faccia – si chiedeva – avrebbe potuto guardare negli occhi il vecchio Athanasios? Lui gli aveva sempre aperto la porta di casa, gli aveva venduto la sua serenità insieme con la purezza dell'ambiente, Lancelot aveva sempre pagato il suo conto, non s'era mai approfittato della povertà dell'isola di un tempo e, insieme, avevano messo sul piatto della bilancia il bene dell'amicizia senza attribuirgli mai un minimo valore venale. Che aveva a che fare, Lancelot, con il governo tedesco? E lo stesso Athanasios, era colpa sua se una classe di pirati evasori armatori greci avevano mandato allo sfascio il paese?

Tutto chiaro, tutto rassicurante nella mente di Müller. Ma niente lo convinceva più, giorno dopo giorno, a tornare nel paradiso corrotto delle isole Cicladi, a un'ora di traghetto dalla capitale greca.

Come lui, la pensavano sua moglie e i figli. Il problema era Demetrios, un ragazzo di vent'anni, che Astrid aveva finito per amare con grande, sincero trasporto. Come avrebbero potuto far capire a Demetrios che non andavano a Kea perché turbati dall'odio che si stava creando fra i due popoli, il tedesco e il greco? Astrid, per la verità, si dimostrava molto matura, rifletteva sul fatto che la sua passione per il giovane greco era insidiata concretamente da una politica assurda e maligna, ma non avrebbe mai fatto una cosa contro il volere della famiglia, non si sarebbe allontanata da sola, non avrebbe fatto l'eroina innamorata che lascia casa e va nel profondo Mediterraneo verso l'ignoto, anche se l'ignoto aveva i contorni degli occhi scuri di Demetrios, della sua barba, del suo corpo slanciato, dei loro tuffi negli angoli più nascosti di Kea.

Il freddo di Dresda si prolungava abbondantemente fino a Pasqua. La nostalgia della famiglia Müller per il tepore primaverile greco non accennava a diminuire. Alternative all'isola di Kea non riuscivano a definirsi: perché mai l'Italia, perché la Croazia, perché, addirittura, il lontano Portogallo? Alla fine, ma erano già i primi giorni di maggio, decisero: quella sarebbe stata la prima vacanza estiva da separati, con Lancelot che non si sarebbe mosso da Dresda, Alma che sarebbe andata a Brema dall'anziana madre, Bruno che avrebbe fatto un viaggio in Francia, tra Parigi e la Bretagna. Astrid, invece, aveva convinto Demetrios ad incontrarsi a Praga, tanto per dare un tocco di malinconia in più al loro amore già privato dello scenario naturale delle Cicladi.

A metà maggio – tutto era stato potentemente accelerato – Astrid e Demetrios furono raggiunti, a Praga, dalla notizia della morte, improvvisa, nel sonno, del vecchio Athanasios. Furono loro a comunicarlo a Lancelot, che provò un dolore così intenso da non avere la forza per esprimerlo. Si chiuse in sé per molti giorni, finito, esausto e senza motivazioni come quando si concludeva il mese estivo a Kea e doveva rientrare in Germania.

La famiglia Müller, alla metà di giugno, si era ormai riunita di nuovo. Erano state vacanze sì e no, tutto fuori tempo, tutto fuori misura. L'unica ad essere minimamente soddisfatta era Astrid, che aveva trovato il modo d'intendersi con Demetrios anche nella stranissima Praga.

Mentre la situazione tra Atene e Bruxelles precipitava sempre più vertiginosamente, i due ragazzi avevano continuato a sentirsi, al telefono o attraverso internet, con il cuore sempre più colmo di amarezza e di afflizione.

Quando ci furono i gravissimi scontri di Atene e il clima da guerra civile divenne ben presente sui media di tutto il mondo, Astrid cercava in ogni maniera di esortare Demetrios a proteggersi, a non lasciarsi prendere dal fuoco della piazza. A Kea, gli ripeteva spesso, in fondo sei in un posto più tranquillo, cerca di mantenerti lontano dalla violenza, questo brutto momento passerà, ricordati di nostro “nonno” - così lo chiamavano da quando era morto – Athanasios!

E Demetrios, certo, il vecchio pescatore non l'aveva mai dimenticato, neanche quando, andato un giorno ad Atene che le cose sembravano essersi calmate, si ritrovò a terra, colpito da una pallottola sparata non si sa da dove, la piazza capovolta sui suoi occhi, circondato da infermieri che cercavano di portarlo con urgenza al più vicino ospedale, non si sapeva più se vivo o morto. Invocava nomi strani, che i greci non conoscevano, storpiati oltretutto dalla bocca ferita del giovane. Chiamava Lancelot, Alma, Bruno, Astrid, finché gli fu possibile chiamava i Müller, la sua allargata famiglia europea che forse non avrebbe più incontrato.

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