LEVANTE. Considerazioni del mattino LE SCUSE DI GUBBIO

di Maurizio Terzetti
In questi giorni, a Gubbio, durante il Festival del Medioevo, è stata data molta enfasi al rapporto della città con Dante Alighieri a causa di quel Cante Gabrielli, eugubino, che da podestà di Firenze, nel 1302, emise le due sentenze che cambiarono la vita al poeta condannandolo al rogo in contumacia e alla distruzione delle case senza tanti complimenti per la sua persona politica e per il suo genio letterario.
Gubbio, con tanto di muncipalità riunita, si è sentita di dovere chiedere scusa a Dante per quell’insulto mortale alla sua persona che un figlio della città umbra potente come Cante Gabrielli gli ha saputo rivolgere all’inizio del Trecento.
Le “scuse di Gubbio” rischiano di diventare ancora più note e emblematiche di quello che volevano i loro ideatori perché la situazione politica italiana di questi giorni – per l’esattezza, di ieri – dà ad esse una mano provvidenziale, quasi fosse il segno benevolente di un Dante che accetta di buon grado le scuse e, da esperto delle leggi supreme dell’universo qual è, ricambia l’onore che gli viene reso.
Capita, infatti, che un paio di uomini politici di levatura non eccezionale, che Cante Gabrielli a suo tempo si sarebbe divorati come miti e innocui pesciolini, rischino oggi di fare una figura dantesca – cioè imponente e vilipesa – dopo che, accusati di ogni tipo di reato tipico dei giorni dei nostri pubblici amministratori, si sono visti riabilitati da sentenze emesse a loro favore.
Tutti si stanno chiedendo, oggi: chi chiederà scusa a “scontrino” Marino e a “mutande” Cota?
La risposta non ce l’hanno forse già a Gubbio, senza bisogno di aspettare che siano i secoli a pronunciarla? Si riuniscano le municipalità capitolina e quella regionale del Piemonte per porgere pubbliche scuse – dantesche, eugubine, cantegabriellesche, faranno come meglio credono – ai due uomini politici rimasti impigliati nel miele della seconda repubblica come nessun esponente di seconda o terza fila di quelli della prima repubblica avrebbe mai fatto.
Barattiere Dante? Scontrinaro Marino? Incauto acquirente Cota?
Per carità, non ne parliamo più, forse è stato Dante stesso a ispirare a Gubbio le scuse adeguate, oltre che a riabilitare la propria persona, se mai ne avesse avuto bisogno, a ridare quella dignità morale e politica a due uomini politici di oggi che, prima di tutto, probabilmente sorprende loro stessi più di quanto non colpisca l’opinione pubblica a due mesi dal referendum.
Ma non finisce qui.
A Gubbio, infatti, si sono chiesti, con tanto di gradevole elaborazione scenica: “Se l’eugubino Cante Gabrielli non avesse condannato all’esilio Dante Alighieri, il sommo poeta avrebbe scritto la Divina Commedia?”
Certo, qui è un po’ più difficile pensare a qualche paragone fra la “Commedia” e ciò che avrebbe potuto – o potrebbe da qui all’eternità – produrre il genio politico di “scontrino” Marino e di “mutande” Cota se i due non fossero stati condannati al rogo dal Cante Gabrielli di oggi, sulla cui identificazione, dantescamente, si potrebbe allestire, almeno per “scontrino”, una terzina che dice e non dice ma dice chiaramente tutto a chi vuole intendere ed è sulla strada giusta per elevarsi alla comprensione: “Firenze su Roma volle Marino / duce del popolo stanco e deluso / ma del suo seme sconvolse il destino”.
E via proseguendo, fra enigmi e figure retoriche di ogni tipo.
Lo stesso tono del discorso di “scontrino” Marino, del resto, dopo la sentenza a suo favore si è già subito elevato: “Il conto di certe azioni le paga il Paese” – ha dichiarato con cipiglio dantesco – “soprattutto quando riguardano la capitale d’Italia. Qualcuno ora si dovrebbe guardare allo specchio e capire se ha la statura di statista”.
A Dante, di là, probabilmente comincerà a venire il dubbio di avere ecceduto nel ricambiare l’ossequio che gli è venuto con le “scuse di Gubbio” elevando “scontrino” Marino e tutti i coinvolti nella sua vicenda a un livello di tale e tanta presunzione politico-letteraria.

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